transizionale

L’idea di modernità è transnazionale

di MAURO ALVISI

Trattare congiuntamente di Mediterraneo e Atlantico assume aspetti che vanno bel al di là della geografia dei luoghi e della storiografia degli eventi, che hanno riguardato l’intricata ragnatela di rotte e porti che li hanno collegati. La stessa idea di modernità nasce tra la fine de XV secolo e l’inizio del XVII, intorno al declinarsi della compenetrazione tra il vecchio mondo e il nuovo mondo, al di qua e al di là delle colonne d’Ercole, nell’ibridazione sociale e culturale di uno spazio leggendario, mitologico, antropologico, geo-politico, macro e micro economico. Un intreccio intercontinentale proteiforme, capace di iscrivere nel suo insieme Asia, Europa, Africa e Americhe come in una grand route, da Oriente a Occidente, con l’ombellico del Mare Nostrum, il Mediterraneo, saldo al centro. Le maree di questi continenti liquidi si alternano senza tregua alcuna, miscellandosi l’una con l’altra, nel continuo divenire spazio-temporale del nostro mondo. Coste, spiagge, isole e abissi d’acque tempestose molto prima immaginate che solcate, nell’immaginario spirituale, sacro ed epico collettivo di popoli, quindi icone magiche della memoria, della narrazione ancestrale dell’umanità. Un Mediterraneo da sempre poliedrico, palcoscenico di violenti scontri tra avverse civiltà come di proficui scambi commerciali e culturali tra le sue diverse etnie, una sincresi storica tra integrazione e alienazione, domestico e forestiero, incontro e scontro del vissuto collettivo. Un Atlantico complesso, temuto, sconfinata frontiera multilaterale, scommessa sempre incerta sulla scoperta ardita. La stessa globalizzazione di cui spesso si parla, anche a sproposito, ha il suo primo embrionale vagito in questi mari, intorno alla fine del XVII secolo, quando le pance della sovversione nel mondo divennero ad un tratto incontinenti. Le prime desuete connessioni ideali e socio-politiche tra America ed Europa, Oceano Atlantico e Mare Mediterraneo, favorite dai radicali eventi rivoluzionari di quell’epoca, annunciarono come trombe dell’età moderna, per la prima volta e con inusitata modalità, le prime interconnessioni globali. Mai scontate nel prodursi e negli esiti seguenti, mai simili l’una all’altra, asimmetriche, asincrone e diseguali ma in grado di ingaggiare, attrarre e influenzare, come oggi farebbero solo i social media, le diverse genti del mondo, le loro legate esistenze sociali, politiche, economiche, scientifiche, artistiche e culturali. Quello che con questa nuova rivista si annuncia come MedAtlantico, non è solo un vastissimo bacino geo-strategico, è il gioco da tavolo interpretativo, cognitivo di un universo marittimo delle antropologie culturali che lo fondano. Gli studi e i tanti contributi storiografici che tendiamo a solleticare e sollecitare ai tanti atenei e centri di ricerca che s’occupano di questi connessi mari, dei viaggi leggendari esplorativi sulla conquista dell’oceano Atlantico, ci aiuteranno a ricavare nel tempo, una visione prospettica comparata, focalizzandosi sulle unicità e le tante ibridazioni succedutesi nelle nazioni e nei popoli che son vissuti e ancora vivono in faccia al Mediterraneo, all’oceano Atlantico. Potremo intelleggere il moderno e il postmoderno di queste terre di mezzo del mondo, le dinamiche di relazione, le tensioni etniche, gli scambi commerciali, che disegnano il sistema complesso medatlantico con i suoi “commerci, guerre, migrazioni, istituzioni civili e religiose, produzioni culturali, manifestazioni artistiche, ibridazioni sociologiche e politiche, nazionalismi”. Tutti i fenomeni e i processi interculturali sono al centro del nostro monitoraggio periodico e ricorsivo. Eventi, come quelli attuali e futuri spesso segnati da incomprensioni, fobie e forme d’intolleranza radicale ma destinati ad un potenziale orizzonte euforico, fatto di un interesse collettivo, di vantaggi competitivi difendibili, fondati sull’incontrare l’altro. Su questo nuovo scacchiere medatlantico, su cui si articolano tutte le nuove storie e strategie di connessione reticolare dell’intelligenza collettiva cooperante si sono giocate le partite più avvincenti, epiche, avventurose e inimmaginabili della storia. Millenarie piste d’acqua e terra, da Oriente a Occidente, da Sud a Nord, solcate da popoli di diversa etnia, cultura, tradizione, religione che hanno scambiato beni e merci, conoscenze ed esperienze, incontrandosi e attivando il volano della storia. Sfidando persino gli antichi Dei del mare, i mostri marini, le insidie seduttive di sirene e sibille, le ostilità diffuse verso i naviganti e i nomadi delle terre straniere e il finis terrae, che precede l’oceano, il regno del nulla e del naufragio d’ogni certezza. L’unica vera barriera alla conoscenza è porsi barriere. E così passata Gibilterra ecco le rotte atlantiche, lungo le coste dell’Africa, alle Canarie e oltre, nel nuovo mondo. In testa a tutti, i Fenici o nausiklutoi come li battezzò Omero. Gente nata per costruir navi e navigare. Non trascurando che le rotte mediterranee e atlantiche erano battute sin dall’età del bronzo, che le flotte di Tiro, poi seguite dalla fenicia e potente Cartagine, conoscevano e praticavano rotte medatlantiche, duemila anni prima di Cristo. La città del dio Melqart e dei suoi re Hiram e Ittobal, che il filosofo e scrittore francese Paul Valery (figlio di madre genovese e padre della Corsica, quindi pienamente mediterraneo) dipinse come padroni del mare, della navigazione ardita, nell’animo dei quali incessantemente si agitano le acque dell’oceano. Dalla fusione dei saperi e dei sapori di queste ragnatele d’onde poi scaturiscono le prime tracce d’architetture urbane delle città, i codici della scrittura, la coltivazione di vigneti e il vino stesso, il vero lasciapassare sacro, il nettare divino che meticcia mediterraneo e atlantico, che celebra le vite delle loro genti, dalla nascita, alle nozze, al funereo dì. Così, dai primi leggendari viaggi verso la prima Eldorado Afro-Atlantica di Ophir provenendo dalla biblica Tarshish (che alcuni collocano in Spagna e altri in Sardegna), nel X secolo a.C. sì traguarda alle città puniche nel Marocco atlantico, o sull’ oceano. Come Gadir oggi Cadice, in Spagna o la monumentale Lixus, nord africa atlantica, o Mogador e la sua spiaggia di Essaouria sull’oceano, in asse con Marrakech, nell’entroterra. Qui i tanti santuari atlantici dedicati a Melqart risalgono alle scorribande della mitologia eroica troiana, di remotissime rotte e navigazioni mediterranee e oceaniche. Antecedenti di molto a quelle fenicie. Provenienti dall’Egeo e dall’oriente mediterraneo. Quindi quella fenicia è solo un tratto storico di una navigazione medatlantica molto più datata, di popoli autoctoni, mediterranei e atlantici, che dal principio dei tempi, con tutta probabilità, hanno unito Oriente e Occidente in una lunga autostrada del mare, a centinaia di corsie e di caselli d’uscita. E se questo spazio medatlantico che è stato, ab origine, il luogo fisico e metafisico dell’interculturalità globale, si candidasse in epoca postmoderna, post-capitalistica e post-industriale, a recitare ancora quel ruolo centripeto e centrifugo che il daemon vocativo della storia gli ha sempre riconosciuto?

Per rispondere a questo intrigante quesito, durante la corta stringa temporale che ha caratterizzato l’ultimo recente vissuto pandemico mondiale, si è cercato di monitorare l’intenso flusso di interazione e dialogo digitale, attivatosi sui principali media, di cui rimane sicura traccia digitale, sui social media (Facebook, Instagram, Twitter, Telegram, Youtube etc.) sul focus tematico psicolinguistico delle Key Words Mediterraneo e Atlantico, da parte della comunità scientifica, universitaria e dei centri studi, degli esperti economici e geo-politici,  della comunità creativa, di quella della comunicazione e dell’informazione, e degli operatori del commercio internazionale. MEDITA Hub, la piattaforma e laboratorio di ricerca scientifica che presiedo con l’ausilio del Decisions Lab dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria (di cui mi onora la membership accademica), analiticamente e con l’ausilio di strumenti di intelligenza artificiale, ha dedicato al tema un articolato monitoraggio diacronico, nell’intenzione di studiare gli scenari del sentiment collettivo che sono andati costituendosi, lungo i principali vettori dell’espressione psicolinguistica, semantica d’una opinione pubblica elettiva, verticalmente coinvolta.       

Si è andata così delinenando una metodologia di ascolto del dialogo digitale sotto il profilo del loro proprio “bagaglio psicolinguistico”. Questo ha consentito di fissare lungo l’asse temporale una definitiva “Concept Cloud”. Come si potrà facilmente osservare, nell’analisi riportata di seguito, lessico e concetti psicolinguistici, tematici, costruzione retorica del linguaggio riguardano il neologismo, che si è andato naturalmente creando di medatlantico . La “words and concepts cloud” osservata su di un bacino reticolare dell’infosfera digitale che riguarda ben quattro piattaforme continentali, racconta molto, se non tutto, del loro innovativo ed emergente approccio dialogico e della cifra complessiva della rispettiva comunicazione e informazione geo-politica. Il Key Concept Toolkit (Cruscotto Concettuale Strategico), le diverse modalità espressive del lessico psicolinguistico, ovvero il tono e l’intensità del proprio prodursi in dichiarazioni, studi, interviste, convegni, dibattiti, post e twitter, conferenze stampa, consente poi di confrontarle, paragonarle, fare “matching” con la mappa tematica concettuale del sentiment reale. Un cruscotto analitico che consente di osservare, da diverse angolature concettuali, come lavora questo nuovo paradigma geo-politico, cogliendone appieno segnali forti, segnali emergenti e segnali deboli che chiameremo epifenomeni. Ovvero l’epicentro energetico di scenari a breve-medio termine, capaci di grande potenziale trasformativo. Mai come in questo caso per capire gli eventi occorre aver avuto i piedi per terra e la “testa tra le nuvole”.

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