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Il rilancio del mare post pandemia

Di ANTONIO ERRIGO

 Il 2020 è stato un anno del tutto eccezionale per l’economia mondiale. La contrazione del PIL globale, pari a oltre il 3 per cento, è risultata largamente superiore a quella della crisi del 2009, quando la flessione si arrestò al -0.3% per cento e a quella della grande crisi del 1929. L’Italia nel 2020 ha registrato una contrazione del PIL dell’8,9%, ponendosi al di sotto della media europea (-2,2%) e di quella mondiale (-5,5%), dietro la Germania che perdendo il 5,1% è rimasta al di sotto della media mondiale di 1,7 punti, ma che si è posta al di sopra della media dei Paesi dell’area Euro (+1,6%); la Francia ha invece registrato una perdita di PIL dell’8,2% in linea con la perdita del PIL italiano. L’Italia nel 2020 si posiziona soltanto prima della Spagna che registra una perdita di PIL del 10,8% [4,1% in meno rispetto a quello medio dell’area Euro e -7,4% rispetto a quello mondiale]. L’economia italiana ha rispecchiato l’andamento descritto a livello internazionale, con contrazioni dell’attività soprattutto nei servizi. Risultando, però, svantaggiata dalla specializzazione produttiva nell’industria per abbigliamento e pelletteria e per il maggiore peso della filiera del turismo. Il PIL italiano ha perso nel 2020 l’8,9% pari a circa 150 miliardi e un crollo degli occupati rispetto a febbraio 2020 di 945 mila unità (590 mila dipendenti e 355 autonomi). Il turismo è stato uno dei settori più penalizzati dalla pandemia da Covid-19: se prima dell’emergenza, il comparto valeva il 13% del PIL nazionale, chiude il 2020 con una perdita di fatturato pari a 53 mld. Gli occupati nel settore turismo passano da 1,3 milioni a 953 mila con una diminuzione di 350 mila addetti. Tuttavia, le politiche governative a sostegno del lavoro hanno determinato la sostanziale tenuta del reddito disponibile delle famiglie italiane che ha perso soltanto il 2,5%. Il crollo dei consumi (-10.7%) derivante dai prolungati periodi di chiusura delle attività economiche, unitamente alla tenuta dei redditi disponibili delle famiglie, ha determinato un significativo aumento dei risparmi annui di oltre 80 miliardi di euro, depositati presso i conti bancari in più rispetto al 2019.

Il comparto del trasporto e della logistica non si è mai fermato durante tutto il periodo pandemico. I servizi di trasporto e di logistica, di fondamentale rilevanza per lo sviluppo dell’economia reale, costituiscono un presupposto funzionale per l’interscambio delle merci, l’acquisizione di fattori produttivi ed il collocamento dei prodotti sui mercati nazionali, europei ed internazionali, nonché rappresentano un driver fondamentale per la ripartenza del nostro paese, dell’industria, del commercio e del turismo. Il comparto dei servizi di trasporto e logistica, pur avendo garantito la continuità del servizio senza mai fermarsi, ha registrato una perdita complessiva di circa il 17%, configurandosi come una delle aree produttive più colpite dalla crisi Covid-19 nel corso del 2020.

Vi è quindi una lettura dei fenomeni riferiti al settore che va in due direzioni: a) una filiera eroica che, insieme ai medici, al personale sanitario e alle forze dell’ordine, ha sostenuto il settore produttivo e degli approvvigionamenti di prima necessità e di prodotti correlati all’emergenza sanitaria fin dall’inizio; b) marginalizzazione del settore a causa delle politiche economiche poco incisive a favore degli imprenditori del trasporto e della logistica. In questo scenario il comparto ha subito una perdita di 2 MLD a fronte di ristori inconsistenti. Nel corso del 2019 il cluster ha registrato una crescita di quasi il 6,5% del fatturato e ancora più robusta in termini di valore aggiunto, con tassi di crescita prossimi all’11%. Nello stesso periodo, si assiste anche ad un irrobustimento patrimoniale, con una crescita di oltre il 14% dell’attivo. Il primo dato che emerge dallo Studio elaborato dal Centro Studi ALIS è una diminuzione del fatturato nel corso del 2020 rispetto al 2019 di circa il 7,2%, che applicata al Cluster ALIS è pari a circa 2,1 miliardi di euro. Inoltre, si registra una diminuita marginalità del comparto. La ridotta marginalità del settore, tuttavia, viene in parte compensata dalle ottime performance dei servizi intermodali, favoriti dai nuovi investimenti in equipment tecnologicamente avanzati e sostenibili sotto il profilo ambientale. In particolare, i movimenti di merci via mare nei porti italiani ed europei sono stati in fase di espansione fino al 2019 per poi mostrare una flessione a causa della crisi. L’elasticità del servizio Ro-Ro (Roll-on/Roll-off) si affianca ad una maggiore integrabilità con i servizi stradali e ferroviari; ne deriva un miglior contributo alla realizzazione di reti di trasporto intermodali ecosostenibili per l’effetto di sostituzione con il vettore stradale sulle distanze medio-lunghe. La riduzione delle esternalità negative ambientali, in termini di emissioni di CO2, si sostanzia, infatti, sia con lo spostamento di mezzi pesanti dalla strada al mare, che nello svolgimento delle operazioni portuali in modo più rapido e spedito.

Il 2020 è stato un anno che ha segnato la storia mondiale. L’emersione di forti criticità legate alla crisi sanitaria da Covid-19 che ha determinato ripetuti blocchi alle movimentazioni di merci ha inciso anche sul Ro-Ro. Globalmente nel 2020 si registra un calo degli scali portuali per il settore del 12,9% rispetto allo stesso periodo del 2019. I volumi Ro-Ro in Italia lo rendono l’unica modalità tecnica di trasporto che è costantemente cresciuta negli ultimi 10 anni. La crescita del periodo 2016-2019 è stata, però, frenata dalla contrazione del 2020 a causa della pandemia. Il peso dell’Italia sull’UE nel 2020 nei traffici Ro-Ro nello short sea copre 1/3 della quota di mercato complessiva ed è maggiore rispetto a quello di paesi tradizionalmente considerati a vocazione marittima. Con un peso predominante rispetto alle altre modalità marittime. Il Ro-Ro, nel suo totale (Ro-Ro/totale SSS Italia), rappresenta il 19,3% (media degli ultimi 5 anni), contro il 17,9% di media dei container. Nel 2020 il traffico Ro-Ro in Italia ha superato i 105 milioni di tonnellate con un calo del -7%, più performante dell’andamento del traffico merci navale complessivo (-9,9%). Il cluster ALIS, nonostante le difficoltà e le criticità finanziarie causate dalla situazione pandemica, ha garantito -senza sospensioni i servizi di trasporto e di logistica registrando un sostanziale equilibrio rispetto al 2019, pur sostenendo extracosti derivanti dalle diseconomie dei flussi di carico delle merci trasportate. Tra il 2009 ed il 2019 la variazione della quota di mercato (Ro-Ro/totale SSS Italia) è raddoppiata passando dal 9,7% al 19,3%. Tali andamenti evidenziano, nell’ambito dei trasporti a corto raggio, il miglioramento delle performance di mercato del trasporto marittimo Ro-Ro, soprattutto nella funzione di shifting dei carichi rotabili dalla strada. Il cluster Alis, in linea con le più evolute innovazioni tecnologiche, ha raggiunto delle economie di scala e di scopo grazie agli investimenti effettuati da alcuni armatori italiani in navi di ultima generazione con sempre maggiore capacità di stiva, dotate di sistemi di efficientamento energetico. L’impegno e gli ingenti investimenti effettuati finora, oltre a quelli programmati per il rinnovamento delle flotte impegnate nel trasporto via mare, ha portato all’intero cluster un riconoscimento da parte del RINA per le performance di abbattimento di emissioni di CO2, che passano dai 6,4 kg di CO2 per trailer/miglio marino (con navi costruite nel 1999) agli 0,9 kg di CO2 per trailer/miglio marino (con navi di ultima generazione). Un traguardo straordinario che certifica oggi il trasporto marittimo come sette volte più sostenibile rispetto ai risultati raggiunti con l’impiego di navi di precedenti generazioni. La flotta dell’intero cluster Alis ha raggiunto già nel 2020 i target fissati per il 2050, ben trent’anni prima, ovvero una generazione avanti rispetto a tutti gli altri. Al 2020, nonostante il Covid-19, grazie anche alla diffusione dei servizi di Autostrade del Mare per tratte superiori a 800km, sono stati eliminati dalle strade oltre 2,1 mln di mezzi pesanti, quindi 56,7 mln di tonnellate sono state spostate dalla rete stradale alle rotte marittime, abbattendo le emissioni di CO2 per 2,5 mln di tonnellate. Ne consegue che per ogni tonnellata movimentata nei porti mediante RoRo vengono eliminati 44 KG di CO2. Nel complesso 125 mln di tonnellate spostate dalla strada su altre modalità hanno abbattuto le emissioni di co2 per oltre 4,4 mln di tonnellate. In conclusione, volendo dunque individuare il contributo del cluster Alis all’Italia, dall’analisi risulta evidente che nel solo 2020 attraverso il mare sono stati eliminati dalla strada circa 1,7 milioni di camion che trasportavano 47,2 milioni di tonnellate di merci abbattendo così 2 milioni di tonnellate di CO2.

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I confini superati del “vecchio mondo”

Di MAURO ALVISI

 L’ing. don Isidoro Sánchez Garcia ha ricoperto diverse cariche istituzionali: Deputato, Senatore, Europarlamentare, Responsabile Relazioni istituzionali del Governo delle Canarie, Membro del Consiglio Superiore Entità Canarie all’estero, Vice presidente Promozione Culturale delle Canarie in Europa, Direttore Parchi Nazionali del Teide e Garajonay (Patrimonio Mondiale Unesco), Presidente Fondazione Università La Laguna, Riconoscimenti: Premio Foedus, Cittadino Onorario dello Stato di Washington, Cittadino Onorario La Orotava (Tenerife). Attestati di Benemerenza: Italia, Spagna, Stati Uniti, Cuba, Equador, Venezuela.

MedAtlantic lo ha intervistato sugli scenari del mondo occidentale

– Mediterraneo e Atlantico segnano da sempre il confine tra vecchio e nuovo mondo. Questa suddivisione ha ancora senso compiuto? Quanto di vecchio e di nuovo esiste in questi due continenti liquidi che bagnano le terre emerse d’Occidente e perché?

«Un mare, il Mediterraneo, e un oceano, l’Atlantico, sono masse liquide del pianeta Terra che hanno sempre caratterizzato la differenza tra la razza che separa il Vecchio dal Nuovo mondo.  Questo ha fatto sì che l’arcipelago delle Canarie e in particolare l’isola di El Hierro fosse considerato da Plinio il Vecchio e da Tolomeo come il Meridiano Zero per segnare il riferimento geografico della navigazione dei paesi occidentali europei del Medio Atlantico, in particolare il Portogallo, la Spagna, la Francia, l’Inghilterra e i paesi nordici. Così fino al 1884 quando si tenne il Congresso Internazionale di Geografia e gli inglesi presero come nuovo riferimento il Meridiano di Greenwich. Poiché la storia la fanno le persone, bisogna calarsi nel mondo mediterraneo per comprendere evocativamente la figura di un Italiano, il genovese Cristoforo Colombo, quale artefice della scoperta delle Americhe nella sua ricerca delle Indie viaggiando verso l’ovest. Un Italiano, Mediterraneo, che mise la propria esperienza al servizio del Regno di Spagna, attraversando il Mare Oscuro o Mare Sconosciuto per scoprire, per l’Europa occidentale, il Nuovo Mondo. Come supporto logistico Colombo fece riferimento di sosta presso le Isole Canarie, sia a La Gomera che a Gran Canaria, per concretizzare l’atto più importante della globalizzazione del pianeta. Lasciò l’Isola Colombina (La Gomera ndr) il 6 settembre per raggiungere l’isola di San Salvador o Guanahani il 12 ottobre dello stesso anno, 1492, nelle acque americane. Nella letteratura riguardante i viaggi sono soprattutto gli europei ad essere pionieri. Si tratta di quattro mediterranei: l’italiano Marco Polo e il tangerino Ibn Battuta per l’Oriente; prima del XV secolo abbiamo il genovese Cristoforo Colombo e l’atlantista Alexander von Humboldt per l’Occidente, rispettivamente alla fine del XV e del XVIII secolo. Le Isole Canarie furono conquistate dalla corona di Spagna in spedizioni successive che si protrassero per 94 anni. La prima fu Lanzarote nel 1402 e l’ultima fu Tenerife nel 1496. L’arcipelago delle Canarie divenne da allora un punto geostrategico perché spagnoli e portoghesi si dedicarono alla ricerca di punti a rilevante valenza economica della costa Africana e Americana, legati alla pesca e ad altre risorse naturali come minerali, gas, petrolio e materie prime oltre al dominio territoriale coloniale».

EUROPA, AFRICA, AMERICA DEL NORD, AMERICA LATINA E ASIA.

– Europa, Africa, America del Nord, America Latina, Asia sono bagnate o lambite da questi mari che vanno dal Vicino Oriente al Lontano Occidente. Uno spazio geografico, storico, strategico, politico e commerciale. Come lo si può integrare nei prossimi anni? Quali sono le sfide aperte? Quali le minacce incombenti?

«Così vennero definiti i continenti: prima l’Africa, culla dell’Homo sapiens, che visse la divisione del collettivo umano verso l’Europa e l’Asia fino a raggiungere, dopo lo Stretto di Bering, le Americhe, in primo luogo il nord e poi il sud dopo aver attraversato la Mesoamerica. Già nei secoli successivi al XV secolo, i marinai mediterranei scommettevano sui viaggi avventurosi in barca attraverso gli oceani. Alcuni per l’Oriente, Medio ed Estremo, altri per l’Occidente. Alcuni addirittura circumnavigavano il globo. Il prussiano Alexander von Humboldt amava viaggiare fin da giovane e di conseguenza decise di studiare l’opera e la geografia di Colombo riuscendo a viaggiare nel 1799 dall’Europa alle Canarie, continuando poi verso i Caraibi, il Sud America e il Nord. Fu lui ad innescare il fenomeno della globalizzazione e stiamo parlando del XVIII secolo! Bisogna riconoscere che quando Colombo incontrò il Nuovo Mondo gli europei cominciarono a emigrare nelle terre americane, in particolar modo gli spagnoli, i portoghesi, i canari e i madeirensi, isolani di entrambi i paesi. Molti di loro contribuirono a superare la crisi socioeconomica della loro terra, permettendo di aumentare la ricchezza agraria delle terre trovate. Con la mescolanza umana in continua crescita ecco apparire l’integrazione. La Spagna ed il Portogallo cominciano a viaggiare verso le terre asiatiche. La Spagna raggiunge le Filippine mentre il Portogallo l’Indonesia. Appare uno spazio geografico spettacolare che nel tempo diventa storico, addirittura strategico dal punto di vista politico e commerciale. Si assiste alla nascita della concorrenza.

«L’Asia sembra essere isolata ma gli inglesi ed i francesi giocano la carta dell’avvicinamento strategico sull’onda del successo in India e Concincina. Cina e Giappone, insieme ad altri paesi emergenti riescono a mantenere le distanze nel tempo. Come i paesi della Mongolia, del Pakistan e dell’Afghanistan. Iran, Iraq e altri paesi arabi adottano la stessa strategia.

L’Africa subisce un processo di colonizzazione che viene definito alla fine del XIX secolo con la ripartizione geografica del territorio, esattamente nel 1885. Questo processo ha un forte impatto sull’organizzazione delle nazioni in terra africana e oggi si vivono le conseguenze di questo fenomeno politico. In alcuni casi si trasforma in guerra fredda e terrorismo.

Il desiderio di potere porta a questo, con un’attenzione particolare alle risorse energetiche, al gas e al petrolio. Anche l’America vive le conseguenze del processo coloniale del XIX secolo, ma il rapporto delle potenze coloniali di Spagna e Portogallo con le repubbliche latino americane attenua in modo accettabile le situazioni politiche.

IL MEDITERRANEO EUROPEO

E L’AMERICA

– I mediterranei europei conquistarono le Americhe, varcando l’Atlantico e aprendo il rinascimento. Esiste ancora un nuovo mondo possibile? Quali sono le nuove Americhe dell’uomo? Le Americhe possono riconquistare l’Europa e il Mediterraneo o è l’Africa il punto con cui si inscrive il cerchio?

La strategia di conquista da parte degli europei mediterranei verso le Americhe, nel 1492, è un vero esempio di globalizzazione. Si tratta di un fenomeno migratorio fondamentale che per secoli ha visto coinvolte generazioni e generazioni, come possiamo vedere ancora oggi. Si tratta di un processo attualmente molto accelerato, che coinvolge centinaia di migliaia di persone. Alcuni storiografi del nostro tempo prendono come significativo esempio il prussiano Alexander von Humboldt, vissuto nel XVIII secolo e il cubano José Marti, figlio di una donna canaria, Leonor Pérez, del XIX secolo. Le Isole Canarie furono un concreto esempio di emigrazione dal XVI al XX secolo, principalmente verso le Americhe coloniali spagnole, tenendo presente che quasi sempre la gente era sospinta da motivi di povertà familiare, senza dimenticare le ragioni politiche emerse durante il periodo della guerra civile spagnola, dal 1936 al 1939. Sono una concreta realtà sotto gli occhi di tutti le migrazioni della gente Canaria verso Cuba ed il Venezuela. Non meno importanti furono gli esodi verso l’Argentina e Uruguay fin dal 1600. In misura decisamente inferiore assistiamo ad una migrazione verso Porto Rico, Filippine, senza dimenticare mete come il Messico e gli Stati Uniti d’America. L’esistenza delle Entità Canarie all’estero, che furono approvate alla fine del XX secolo, dopo l’entrata in vigore dello Statuto di Autonomia delle Canarie, mi permise di conoscere l’impronta di costume lasciata dai nostri concittadini, inclusa l’eredità di stile di vita nelle terre americane, principalmente in quelle del sud (Cuba, Venezuela, Argentina e Uruguay). Molti di loro furono costretti a perdere la cittadinanza spagnola pur di poter avere un lavoro. Data la situazione politica in alcuni paesi americani e in Europa, dopo l’adesione della Spagna all’Unione europea, non è facile pensare a un altro mondo. Questa considerazione vale sia per le Canarie che per il resto dei Mediterranei europei. Credo che il panorama sia cambiato e che ora si debba parlare di Continenti. Forse così possiamo comprendere che l’Africa è il punto in cui si inserisce il cerchio della globalizzazione; ritengo che questa nuova realtà sia frutto dell’interesse degli Stati Uniti come della Cina. E’ sufficiente recarsi in questi Paesi per comprendere quanto sia difficile affermare quali siano le nuove Americhe dell’Uomo Europeo. Soprattutto se guardiamo al Continente Africano dove il Sahel sahariano è una realtà multiforme, complicata da capire per gli europei Mediterranei, sia sotto l’aspetto geografico, politico istituzionale o geostrategico, sia per quell’epidemia golpista che attraversa l’Africa come i casi di Sudan, Mali, Guinea e Ciad ci ricordano quotidianamente.

GEOPOLITICA ED ECONOMIA

MEDATLANTICA

– Esiste uno spazio di manovra per la geopolitica e l’economia medatlantica?

« spazio di manovra per la geopolitica e l’economia nell’area Mediterraneo-Atlantica è quello che è. Difficile in alcuni casi, possibile in altri. Dipende dalla ubicazione dei paesi nello scenario del Mar Mediterraneo. In geopolitica ed economia i paesi europei hanno maggiori possibilità rispetto ai paesi africani, anche se non vanno trascurati quelli del Medio Oriente oltre al Marocco, Algeria e Turchia. Ritengo che l’eredità dei paesi europei nella colonizzazione del Continente Africano alla fine del XIX secolo abbia avuto un’influenza significativa su questa situazione. Nessuno si ritiene soddisfatto delle proprie risorse. Basta guardare i recenti incontri del Gruppo G 20 a Roma o il summit sul cambiamento climatico a Glasgow per comprenderlo. Per quanto riguarda l’evento del G 20 dobbiamo ricordare che riunisce paesi le cui economie rappresentano oltre l’80% del PIL mondiale, il 75% del commercio mondiale e il 60% della popolazione. Di recente ho scritto che il mondo è in stato di agitazione caotica e questa mia analisi viene confermata da alcuni giornalisti spagnoli quando parlano di malgoverno mondiale a causa delle sfide poste ad una recente Assemblea delle Nazioni Unite; la conclusione è che per raggiungere valide e durature soluzioni è conveniente e necessaria un’azione chiara e decisa da parte dei grandi poteri. Nel mio articolo insistevo sull’incapacità dei governi di risolvere i gravi e grandi problemi che stiamo vivendo. Nelle nostre considerazioni non dobbiamo mai dimenticare il peso di due eventi planetari: il cambiamento climatico e la pandemia generata dal Covid-19. A peggiorare le cose vi è l’assenza di contatti bilaterali tra i vari paesi; ciò significa un aggravamento ulteriore dei problemi che devono ancora essere risolti. Cito per maggior chiarezza gli Stati Uniti e la Cina, il Marocco e l’Algeria, l’Unione europea e la Russia, tra i tanti altri. Stiamo parlando, tra paesi avanzati, emergenti e svantaggiati, di circa 200 realtà nazionali».   

RADICI CULTURALI DI AFRICA,

EUROPA E AMERICA.

– Africa, America, Europa hanno differenti radici culturali. Quali sono i terreni di natura interculturale e multilaterale per una integrazione mediterranea e atlantica?

«Il continente Africano, l’Europeo e l’Americano sono densi di avvenimenti importanti. Nello specifico il continente africano ha un ruolo significativo nella storia dell’uomo, mentre quello europeo viene identificato per essere il Vecchio e le Americhe come il Continente Nuovo. Tutto questo viene espresso in termini euromediterranei. Nel caso dell’Atlantico che bagna le coste dell’Africa, evidenzierò quattro arcipelaghi che compongono la cosiddetta Macaronesia, isole fortunate dal punto di vista naturalistico: Azzorre, Madeira, Canarie e Capo Verde. Tutte hanno vissuto nel tempo l’arrivo di gruppi dal Nord Africa e dall’Europa meridionale. Un amalgama incredibile di esseri viventi che hanno fatto parte delle isole Macaronesiche, tutte di natura vulcanica, dove le Canarie si distinguono per la loro numerosa presenza e per l’arrivo di gruppi berberi ed europei in particolare dalla Penisola Iberica, Spagna e Portogallo, senza dimenticare Francia e Italia. Le culture dell’Europa meridionale e dell’Africa settentrionale occupano gli spazi insulari al punto che si può parlare del ruolo geostrategico delle Isole Canarie in relazione al triangolo Africa, Europa e Americhe, nonché di ponti relazionali con questi tre Continenti: in campo interculturale e multilaterale. Esperti di storia e sociologia dell’America sottolineano che non si può capire il mondo Americano se non si conoscono le Isole Canarie; a tale scopo è d’obbligo passare in rassegna la storia di Venezuela e Cuba, del Messico e degli Stati Uniti, dell’Argentina e dell’Uruguay. Oltre al contributo di lavoro e al sangue versato, le Canarie hanno portato in queste terre anche la gestione dell’uso dell’acqua, soprattutto per quanto concerne il risparmio di questa preziosa risorsa in funzione delle colture agricole. Alcuni docenti hanno fatto proprio l’idioma canario che in realtà ha radici nella lingua spagnola; lo stesso vale per la musica. E naturalmente per una parte dei dirigenti politici. Sono i casi di Cuba e Venezuela. Eccezionale è stato il viaggio nelle regioni equinoziali del Nuovo Continente del naturalista tedesco Alexander von Humboldt che ha confrontato e descritto la geografia delle Isole Canarie e dei luoghi visitati, nonché i suoi vulcani e i cosiddetti tappeti di vegetazione, del tutto straordinari. Un amico venezuelano, consulente economico e diplomatico, Luis Xavier Grisanti, mi insegnò, verso la fine del XX secolo, l’importanza della necessità di realizzare un meeting eurolatino-americano. Evocò Uslar Pietri al momento di ricordare gli incontri e le divergenze tra i popoli del Vecchio e del Continente Nuovo, nonché l’importanza dell’analisi teorica delle relazioni politiche, economiche, sociali e culturali tra l’Europa e l’America latina. Concordo con il suo impegno volto a dare maggior consistenza e capacità decisionale alla Comunità Transatlantica composta da Nord America, Unione Europea, America Latina e Caraibi al fine di rafforzare la democrazia intercontinentale e lo sviluppo sostenibile senza dimenticare la cooperazione allo sviluppo stesso. Tutto questo pensando a un nuovo Interregionalismo Transatlantico.

PREVALENZE TRA 2021-2030

– Commerci, guerre, nazionalismi, migrazioni, disparità sociali e povertà, conflitti religiosi, nuove forme di imperialismo da un lato e dall’altro produzioni culturali, ibridazioni sociali e politiche, l’affermarsi del pensiero della comunità scientifica, una tecnologia capace di facilitare l’intelligenza cooperante per il bene comune. Cosa prevarrà in questo decennio?

«Alla fine del XX secolo, precisamente nel 1999, ebbi l’opportunità di essere eletto deputato spagnolo al Parlamento europeo. In quell’occasione mi unii al Gruppo Liberale che tanto avevano promosso gli Italiani. Uno di loro era Romano Prodi, come leader europeo. Poi conobbi Francesco Rutelli, deputato europeo per l’Italia e sindaco di Roma. Ci incontrammo nella capitale italiana il primo giorno “politico” del nostro Gruppo Liberale europeo e sollevammo, con la condivisione del nostro presidente Pat Cox, due questioni simili che gruppi di emigrati italiani e spagnoli in Venezuela ci avevano esposto in merito alla governance che era stata avviata dal Presidente della Repubblica Boliviana Hugo Chávez. Non riuscimmo a far accettare al gruppo socialista europeo la nostra proposta di discutere la situazione politica in Venezuela a causa del suo impatto sugli emigranti europei. Vent’anni dopo si può toccare con mano cosa è successo al presidente Maduro e al suo governo. Iniziò così l’anno 2000 e un Nuovo Ordine Internazionale divenne di moda nel XXI secolo. Esperti di ogni settore evidenziavano probabili eventi quali: disastri naturali, cambiamenti climatici, migrazioni, terrorismo, guerre, globalizzazioni accelerate, etc. Per questo ritengo conveniente stabilire delle priorità secondo una visione pluri decennale; solo in questo modo potremo indicare cronologicamente le strade giuste da seguire. Dall’approccio che mi è stato formulato, vorrei coniugare produzioni culturali con ibridazioni politiche e sociali orientate al bene comune, passando dall’affermazione del pensiero della comunità scientifica affinché i cittadini accettino le loro esposizioni. Auspico inoltre l’avvento di una tecnologia in grado di facilitare l’intelligenza collaborativa orientata a conseguire il bene comune. In questo modo diventa più facile stabilire relazioni commerciali tra i popoli, evitare guerre, migrazioni, disuguaglianze, conflitti religiosi e nuove forme di imperialismo. Non capisco come sia possibile che il Marocco firmi un contratto con una società israeliana per lo sfruttamento delle acque del Sahara quando il Consiglio Europeo di Edimburgo ha adottato una risoluzione in merito all’ampliamento dell’Unione europea alle Canarie, sulle quali non ha la sovranità, dopo che i tribunali europei hanno bocciato altri patti per la questione del Sahara». 

VOCAZIONI DELLE CANARIE

– Qual è la vocazione passata, presente e futura di un arcipelago come le Canarie, una vera terra di mezzo sospesa tra tre continenti?

«È vero che l’arcipelago delle Canarie, oggi Comunità autonoma di Spagna dopo l’approvazione dello Statuto di Autonomia e Regione Ultraperiferica dell’Unione Europea dopo l’adesione del Regno di Spagna alle Comunità Europee nel 1986, è considerato un territorio sospeso tra tre Continenti: Africa, Europa e America. Geograficamente situato tra i 27° e i 29° dell’emisfero nord e i 13° e 18° del Meridiano Zero di Greenwich. E’ idealmente incorniciato in un rettangolo di 500 km. di lunghezza e 250 km. di larghezza; dista circa 100 chilometri dal continente africano sul lato del Sahara che si trova di fronte alle isole di Lanzarote e Fuerteventura. Nel corso di più di 500 anni di storia le Isole Canarie hanno avuto diversi tipi di vocazione. Il passato era concentrato su quella esclusivamente emigratoria; infatti a partire dal XVII secolo si hanno precise testimonianze di imbarcazioni impegnate in avventurosi viaggi verso paesi dell’America come Cuba. Dal XVIII secolo le rotte preferite riguardavano Cuba, Venezuela, Portorico, Stati Uniti, Messico, Argentina e Uruguay.  Le Canarie erano isole che asservivano i velieri in quanto punto di rifornimento strategico ma anche transito della posta ufficiale del regno di Spagna, dalla penisola alle Americhe. Principalmente dalla Galizia a Tenerife, per seguire a volte La Palma e attraversare il Charco (parodia dell’Oceano ridotto a stagno o pozzanghera ndr) fino a raggiungere Puerto Rico e poi Cuba. La vocazione attuale può essere considerata duplice: una è la Regione Ultraperiferica Europea e ricettrice di turismo, l’altra il percorso della migrazione africana verso l’Europa. Sorge spontanea la domanda: qual è la futura vocazione delle Isole Canarie? Ebbene, è legata a diversi fattori condizionanti tra cui l’oggettiva prossimità al continente africano di cui è da tener ben presente lo stato economico, il tasso di povertà, la formazione della popolazione giovane e la produzione di materie prime. E’ fondamentale   risolvere l’equazione export/import e contestualmente si deve superare la crisi delle ondate migratorie».

ISOLE CANARIE,

STARGATE INTERCULTURALE?

– Le Canarie possono recitare un ruolo di stargate interculturale tra un Mediterraneo Euro-Asiatico e un Atlantico Afro-Americano? Se si come?

«La verità è che la risposta deve essere positiva e sono convinto che le Isole Canarie possano svolgere il ruolo di stargate interculturale tra un Mediterraneo eurasiatico e un Atlantico afroamericano. Come? Ho riletto il libro “I Diritti dell’Occidente”, Geopolitica delle Regole Globali, opera del professore italiano Mauro Bussani per poi andare a consultare nuovamente lo Statuto di Autonomia delle Isole Canarie, rivisto nella sua terza edizione del 2018, al capitolo II, Azione estera delle Canarie e in particolare all’articolo 198.3 che si occupa di Informazione e partecipazione a trattati internazionali in riferimento  a  specifiche materie di interesse per le Isole Canarie e in particolare per quelli relativi alla sua posizione geografica come Regione Ultraperiferica Europea. Si evidenziano gli accordi stipulati e quelli richiesti a seguito di politiche di cooperazione allo sviluppo con i paesi limitrofi, incluso quelli che consentono di rafforzare i legami culturali con quei paesi o territori in cui sono presenti comunità canarie o discendenti canari. Abbiamo diverse esperienze in questo senso. Da un lato le Entità canarie all’estero, sia in America che in Europa e dall’altro la formalizzazione di accordi culturali con alcuni Paesi. Oltre alle mie esperienze personali quali, per esempio, la collaborazione con le associazioni di Cuba, quindi con la scuola di spagnolo a Casablanca, in Marocco, e con l’università a Capo Verde, oltre alla promozione culturale delle Canarie in Europa realizzata a Berlino. Musica, letteratura, pittura, nonché audiovisivi e teatro costituiscono i campi della performance culturale. Associazioni culturali come ACH di Humboldt nelle Isole Canarie o En el Jardin della poetessa cubana Dulce María Loynaz, hanno reso possibili scambi culturali con Cuba, Perù ed Ecuador, oltre che con Madrid e Berlino. E’ importante evidenziare il ruolo delle Canarie nello scambio biologico di piante provenienti dall’America e dal Mediterraneo che hanno arricchito gli archivi del Giardino di Acclimatazione de La Orotava (Tenerife) o quello dei semi di patate peruviane, delle piante messicane come il mais oltre all’agave e al fico d’india. Di grande importanza fu il compito riservato alle viti da vino che viaggiarono dalle isole greche alle Canarie per stabilirsi dal XV e XVI secolo a Lanzarote e El Hierro, all’inizio della conquista europea». 

BAUMAN E LA MODERNITÀ LIQUIDA

– Zygmunt Bauman ha teorizzato, dimostrandone gli effetti, la società liquida, con il crollo della dimensione solida reale di Stati e Istituzioni. Sotto questo profilo, hanno ancora ragion d’essere organismi come le Nazioni Unite, la UE, la NATO, la Lega Araba, l’Unione Africana, l’Unione per il Mediterraneo, o per un nuovo ordine mondiale occorre pensare ad altri strumenti e organismi? «È interessante la metafora che emerge dall’analisi della Modernità Liquida commentata dal filosofo e sociologo polacco Z. Bauman, Premio Principe de Asturias (Spagna), nel 2010, insieme a un collega francese. Ha confermato che la Modernità Liquida è una figura di cambiamento costante e transitorio legata ad una serie di fattori educativi, culturali ed economici. Bauman separa il liquido dal gassoso, che sono fluidi, dagli elementi solidi che hanno forma definita e fissa e sono l’opposto di quello liquido e gassoso che subiscono cambiamenti in modo continuo e conservano la loro forma in modo facile. Sono un esempio dei problemi che sorgono nella nostra società. Curiosamente il sociologo polacco cerca di dimostrare con ciò l’incoerenza delle relazioni umane in diversi ambiti anche se non coincide con quello che il naturalista prussiano Alexander von Humboldt aveva detto al proprio fratello filosofo e diplomatico Wilhelm, che amava ricordargli come l’aspetto più importante nella società riguarda le relazioni umane. Applicando il concetto di Modernità Liquida alla società attuale, alcuni autori rilevano il crollo della dimensione solida degli Stati e delle Istituzioni se si considera la opportunità di mantenere organizzazioni come l’Unione Europea, la NATO, l’Unione Africana, o l’Unione Mediterranea e si chiedono se sia necessario che per questo nuovo ordine mondiale che stiamo vivendo o vivremo, dobbiamo pensare ad altri organismi e ad altri strumenti. Forse si, sarebbe la mia risposta, considerando le mie esperienze dirette ma a questo punto dovrei scrivere una Memoria Storica Coloniale per sapere cosa è successo in continenti come l’Africa e principalmente l’America. Tornando all’opera “I Diritti dell’Occidente” capisco perché il professor Bussani volle insistere circa la spiegazione dell’origine, della struttura e della portata del diritto occidentale. Riteneva che uno dei meriti principali di essa consistesse nel costringerci a praticare una sorta di esercizio di empatia, invitandoci a metterci nei panni degli altri, cioè di chi non fa parte della società occidentale, cioè cittadini, religioni, culture e ordinamenti giuridici diversi da quelli prevalenti nella nostra parte di mondo. Ciò è noto come alterità. Dovremmo quindi cercare l’efficienza e la sicurezza giuridica di un nuovo Ordine Mondiale che garantisca l’uguaglianza democratica in una società liquida come la nostra».

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Euromediterraneo. Il ruolo dell’Italia

di GIOVANNI MOLLICA –

 Povero di materie prime e di grandi industrie; con un livello di istruzione e un Pil pro capite inferiori alla media Ue; un agroalimentare raramente in attivo e frenato da norme comunitarie penalizzanti; una Ricerca & Sviluppo cronicamente priva di investimenti; una tassazione che potrà (forse) scendere di qualche punto ma non sarà mai competitiva con i paradisi fiscali e, infine, con un debito pubblico mostruoso che impedisce di effettuare gli investimenti necessari, l’Italia è un Paese che si aggrappa al turismo e alla manifattura lombardo-veneto-emiliana per non affogare economicamente. Ma l’obiettivo di qualsiasi governo responsabile non può essere sopravvivere, bensì tentare di ridurre il debito e attuare quelle riforme strutturali che, in un drammatico circolo vizioso, impediscono una crescita che si autoalimenta. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), provvidenzialmente concepito dall’Ue, serve a questo. A patto che non si interpreti come l’ennesimo strumento necessario per nascondere la polvere dell’inefficienza sotto il tappeto. La Commissione europea è stata chiara: o si entra nell’ottica di un Piano per le prossime generazioni (Next Generation Plan EU) oppure niente aiuti.

Diviene così inevitabile capire in quali settori economici un Paese così può creare quel valore aggiunto che gli consenta di crescere realmente, invece di continuare a perdere terreno, a Nord come a Sud. In altre parole, quale sia il ruolo che può occupare nel panorama euromediterraneo senza porsi in competizione con altri più forti e capaci. Che finirebbero per stritolarlo.

Per strano che possa sembrare, la Globalizzazione, ampliando e rendendo organica  al prezzo finale di un bene la quota di valore aggiunto determinata dal trasporto e dalla distribuzione, ha offerto una straordinaria opportunità. Grazie a essa, si può pensare di captare quella, affatto trascurabile, quota di ricchezza che si crea durante il percorso tra il luogo di produzione e l’utente finale. Lungo quella supply chain – oggi significativamente intesa come ultimo anello della catena del valore.  Una ricchezza che, a differenza di altri geograficamente meno favoriti, non siamo stati ancora capaci di cogliere. Eppure, sarebbero bastati un po’ di lungimiranza, di sano buon senso e di onestà intellettuale per capire che un Paese con 8 mila km di coste, saldamente collocato da Madre Natura nel cuore del Mediterraneo, ancorato all’Europa ma a soli 140km dall’Africa, equidistante da Gibilterra e dal Mar Nero doveva proporsi come collettore dei flussi di merci che attraversano il piccolo ma ancora importantissimo, Mediterraneo. Crocevia di una quota importante degli scambi tra tre continenti, uno vecchio e ricco e due più poveri ma in impetuosa crescita. Ma questo è solo un aspetto del “problema Italia”, ritenuta, fino all’arrivo di Draghi, il malato d’Europa proprio per quelle patologie che il Pnrr dovrebbe guarire. Per non fallire ancora una volta, però, è indispensabile che la politica nazionale e locale allarghino i propri orizzonti, geografici e temporali; oltre il limite della convenienza personale e di partito. In altre parole, che la politica diventi Politica. Al livello più alto, Draghi compirà questo miracolo? Lo speriamo, ma il suo impegno personale e quello del suo team – fondamentale la scelta dei componenti e alcune scelte non sembrano felici – non bastano. Una nazione è un sistema enormemente complesso e basta che una parte non funzioni come dovrebbe per rallentare o vanificare un processo che richiede scelte rapide, uniformità di vedute e pugno di ferro in guanto di velluto.

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E il portogallo ha vinto la sua sfida

Di CARLO GIACOBBE

 C’è un indicatore antropometrico che riguarda il Portogallo e rispecchia pienamente i cambiamenti registratisi nel paese: in cento anni, circa tre generazioni, l’altezza degli abitanti dei due sessi è aumentata mediamente di oltre 13 centimetri. Nel riferire sul risultato di un esteso studio comparativo compiuto qualche anno fa sulle popolazioni di diversi paesi, europei e non, un gruppo di antropologi, genetisti e statistici dell’Imperial College di Londra ha precisato che il dato è tra i più significativi a livello mondiale. Inoltre, nell’ultimo trentennio la crescita ha subito una accelerazione rispetto a 60/70 anni fa. Ciò prova una notevole corrispondenza tra parametri biometrici, sociali ed economici.

Al di là di una fisiologica tendenza al miglioramento riscontrabile in pressoché tutte le società avanzate, le concause di questa crescita possono essere diverse. Una, che ha impresso una sorta di accelerazione lineare alla tendenza di cui si è detto, di sicuro è coincisa con la fine del regime salazariano. Dopo la Rivoluzione dei Garofani, nel 1974, che ha messo fine all’ultima dittatura anche coloniale d’Europa, quella che è l’estrema propaggine occidentale del Vecchio Continente ha cominciato a perdere il poco invidiabile primato di nazione “fanalino di coda”, che deteneva insieme alla Grecia. Per i primi due o tre anni, sino a che non si è consolidata la democrazia senza il rischio di derive autoritarie – che quella volta sarebbero state di segno opposto, di impronta marxista – il Portogallo è rimasto in una sorta di limbo. Nel 1976 ha avuto inizio il grande recupero, con l’affermazione del socialista Mário Soares alla guida del governo e del centrista António Eanes come presidente della Repubblica rifondata sulle ceneri dello Estado Novo; in realtà un ossimoro, avendo mantenuto il paese in una condizione di retriva arretratezza e con forti sperequazioni a danno delle classi sociali più arretrate (maggioritarie).

     Ciò fu possibile, inizialmente, grazie all’uscita dall’isolamento internazionale e dall’arretratezza in cui si trovava, fino al cambiamento radicale avvenuto nel 1986 con l’entrata nell’Unione Europea. Da quel momento, i progressi fatti dalla piccola nazione lusitana sono stati direttamente proporzionali allo sbiadirsi della retorica nazionalista, che Salazar e il suo successore Marcelo Caetano, sebbene in misura minore, avevano ossessivamente coltivato in quasi mezzo secolo di dittatura. Pur consapevoli del loro passato illustre di grande potenza, al pari di Inghilterra e Spagna, dopo l’entrata nella Comunità i portoghesi cessano di tenere il capo voltato all’indietro, ma guardano al futuro. Guadagnano di più, cominciano a viaggiare, si alimentano meglio e in modo più sano, sebbene i loro piatti tradizionali, pesce, crostacei, suini, ovini e prodotti caseari, restino al centro della loro economia e del consumo interno, oltre a rappresentare una voce importante dell’export. Addirittura esponenziale è la crescita del patrimonio e della produzione enologica di qualità, a fronte di una leggera diminuzione di quella globale. Prima del cambiamento politico-economico, soprattutto tra le classi lavoratrici, il consumo pro capite era di due terzi superiore a quello odierno. Ciò nonostante, attualmente il Portogallo resta al primo posto nel mondo per consumo annuo di vino pro capite: in media ogni cittadino maggiore di 15 anni beve circa 52 litri di vino, superando l’Italia, al secondo posto con 46,5. Un dato, questo, che purtroppo si traduce in una percentuale di alcolisti elevata rispetto alle medie europee.

     La vera svolta però si è avuta con una crescita esponenziale del turismo. Dagli anni ’90 del secolo scorso, anche per una razionale e virtuosa politica di impiego delle risorse comunitarie, il paese ha migliorato rete stradale e infrastrutture, avviando un programma imponente di upgrading delle strutture alberghiere, insieme alla costruzione di moltissimi nuovi hotel. Questo soprattutto nei tre principali punti nodali del turismo, la capitale Lisbona e, nel nord, Porto, assieme all’Algarve, nell’estremo meridione. Forti aumenti nelle presenze turistiche si sono avuti anche nelle regioni insulari delle Azzorre e, soprattutto, di Madeira. Nel 2019, prima che lo scoppio della pandemia paralizzasse le attività turistiche globali, un sondaggio tra 15.000 tour operator in Europa e Usa stabilì che il Portogallo era al primo posto come nuova meta ideale. Tale giudizio, peraltro, si è confermato in un ulteriore studio merceologico condotto alcuni mesi fa dalla Condé Nast Johansens, principale riferimento per tutte le destinazioni di lusso, secondo cui anche dopo la pandemia il Portogallo è al settimo posto, subito dopo gli Usa.

     Anche sul fronte pandemia, dopo alcune alterne fasi iniziali, che nel 2020 e all’inizio del ’21 hanno fatto registrare due periodi di notevole crisi protrattisi per diversi mesi, il paese ha reagito in modo eccellente.

Oggi disputa a Israele il primato di nazione con la maggiore percentuale di vaccinati, circa l’85 per cento degli aventi diritto. Dal punto di vista socio-politico il Covid, a differenza di altre nazioni, non ha esasperato gli attriti tra PSD (centro destra), il partito del Capo dello Stato Marcelo Rebelo de Sousa, e il PSI (centro sinistra) del capo del governo António Costa. Pur non avendo mai dato vita a un governo di unità nazionale che avrebbe annullato le differenze di storia personale e programmi, durante il momento più critico del Covid, lo scorso anno, il capo dell’opposizione disse al Premier di continuare con le misure intraprese, affermando che il suo successo sarebbe stato quello di tutto il paese, compreso il PSD. Una lezione di senso civico per molti, Italia in primis.

     Cavalcando la propria “popolarità” turistica, ma in un momento in cui più forte si faceva comunque sentire la crisi globale, nel 2009 Lisbona ha introdotto misure legislative che, sulla base della reciprocità con numerosi paesi, hanno permesso a varie categorie di stranieri, tra i quali per l’Italia pensionati non statali, di avere importanti agevolazioni fiscali se si sposta la propria residenza in Portogallo. Fino all’anno scorso, gli italiani che per almeno 183 giorni l’anno si trasferissero nel paese avevano diritto per dieci anni all’esenzione totale dal pagamento dell’Irpef. Lo scorso anno, soprattutto dopo le rimostranze di alcune nazioni nel nord Europa, il Portogallo ha introdotto una tassazione sul reddito del dieci per cento. Un’altra misura riguardava il Golden Visa, che dopo 5 anni permetteva di ottenere la residenza permanente e, l’anno seguente, la cittadinanza ai cittadini extraeuropei che investissero in terra lusitana almeno 350.000 euro o creassero imprese dando lavoro a manodopera legale entro certi massimali.

     In una nazione che è destinata a restare un modello di cambiamento tanto drastico quanto virtuoso, questo è l’unico vero chiaroscuro. La presenza di stranieri fortemente “solvibili” ha però creato malcontento tra i residenti, che nel corso di questi ultimi anni hanno subito la lievitazione dei prezzi degli immobili e in genere del costo della vita, sollevando legittimamente la questione della gentrificazione dei grandi centri. Per questo, se non ci saranno ripensamenti, il governo ha annunciato che dal 1 gennaio del 2022 le grandi città e l’Algarve saranno esclusi dai benefici agli investitori esteri. Vantaggi che invece resteranno in piedi per le località dell’interno. Questo dovrebbe calmierare un po’ i prezzi immobiliari di Lisbona e Porto, bloccandone l’ascesa vertiginosa soprattutto per le tasche dei portoghesi e riducendo la fuga dei residenti locali dalle città, divenute vivibili quasi solo per gli stranieri benestanti. Nello stesso tempo ne sarebbero favoriti i più piccoli centri interni dove l’economia è più depressa, per l’arrivo, al quale punta il governo, di investitori da fuori.      Nel complesso, considerando la sicurezza ai massimi livelli mondiali, la qualità dei servizi medici, l’attenzione alla cultura, il carattere del paese e dei suoi abitanti, il Portogallo può ben dirsi una meta di elezione. Sia per chi voglia una gradevole parentesi di vacanza, sia – e lo dimostra il grande numero dei “residenti non abituali”, diverse decine di migliaia – per quelli che, almeno per dieci anni, ne vogliano fare il luogo di elezione, dove lasciarsi alle spalle almeno alcuni dei problemi endemici di casa propria. L’unica vera loro preoccupazione è la difficoltà di comprendere e di esprimersi in portoghese. Una lingua piuttosto ostica per chi pensa di poterla imparare “a orecchio”, come per esempio avviene con la cugina iberica, lo spagnolo.