Inquinamento industriale

Disastri ambientali e povertà: un nesso davvero incredibile

di Roberto Cardaci

Uno degli aspetti dei disastri ambientali che viene scarsamente considerato e pressoché del tutto sottaciuto nel corso dei vertici tra i cosiddetti Grandi della Terra che dovrebbero avere cura del pianeta è l’effetto di ricaduta di alluvioni, tempeste, uragani, ondate di calore estreme, siccità, incendi, frane nel creare o aggravare la povertà dei cittadini dei Paesi nei quali si verificano. 

Secondo un rapporto dell’Organizzazione Metereologica Mondiale (WMO) e dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio di disastri (UNDRR), negli ultimi 50 anni si è verificata un’impennata dei disastri naturali, causati dal cambiamento climatico e dagli eventi metereologici estremi.

Considerando i Paesi che si affacciano sull’Oceano Atlantico, in Sud America le inondazioni sono la causa del 59% dei disastri e il 77% dei conseguenti decessi che avvengono tra le popolazioni.

Gli Stati Uniti hanno avuto il 38% delle perdite economiche globali causate dai pericoli metereologici.In Europa si sono avuti 1.672 disastri ambientali, con il 38% dei danni causato da inondazioni e il 32% da tempeste.

Dalle analisi effettuate dai ricercatori del Progetto Titan, realizzato nell’ambito del Programma Europeo Espon, si rileva che nel lasso di tempo compreso tra il 1995 e il 2017, alluvioni, tempeste, siccità e terremoti hanno provocato eventi economici negativi per l’Unione europea provocando un calo della produzione interna che ha causato quasi 77 miliardi di euro di danni, di cui 43,5 dovuti direttamente ai disastri naturali e 33,4 collegati ai contesti economici delle aree colpite da calamità naturali.

I Paesi dell’area mediterranea più colpiti sono stati Italia, Francia e Spagna, ma se si considera il territorio continentale i danni hanno interessato anche Regno Unito, Irlanda, Danimarca.

Tempeste di vento e alluvioni, tra le calamità naturali prese in considerazione dai ricercatori, sono le responsabili dei disastri e conseguenti ricadute economiche più pesanti, avendo causato tra il 1981 e il 2010, il 76% dei danni stimati dal Programma.

Altri eventi atmosferici causa di disastri ambientali ed economici sono la siccità e i terremoti, responsabili ognuno per il 24%. 

Non sempre le regioni territoriali maggiormente colpite dalle calamità naturali soffrono le maggiori perdite economiche: infatti, per esempio, Francia e Germania sono le nazioni più colpite dalla siccità, ma i danni più consistenti causati dal fenomeno nei Paesi del Mediterraneo li hanno patiti Italia e Spagna su tutti.

Un avvertimento pressante sulla necessità di affrontare a livello internazionale in maniera efficace, strutturale e strategica il tema della tutela dell’ambiente viene proposto dall’ultimo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), che denuncia come perdita di biodiversità, degrado ambientale, cambiamenti climatici e pressione sulle risorse naturali potrebbero avere conseguenze devastanti e permanenti per la salute umana e i mezzi di sussistenza nell’area mediterranea per Spagna, Francia, Italia, Malta, Slovenia, Croazia, Montenegro, Albania, Grecia, Turchia, Cipro, Libano, Siria, Israele, Palestina, Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto. 

In particolare, il Rapporto mette in luce che il 15% dei decessi che avvengono nell’area è causato da fattori ambientali.

Inoltre, l’inquinamento atmosferico, nel 2016, è stato responsabile della morte prematura di 228.000 donne e uomini.

A livello planetario, secondo l’Atlas of Mortality and Economic Losses from Weather, Climate and Water Estremes (1970-2019), presentato il 1° settembre 2021 da WMO e UNDRR, che disaggrega i dati per sottotipo e sub-sottotipo di ogni disastro, le condizioni meteorologiche, climatiche e idriche hanno costituito il 50% di tutti i disastri, il 45% di tutti i decessi segnalati – oltre il 91% si è verificato nei Paesi in via di sviluppo – e il 74% di tutte le perdite economiche. 

Nel cinquantennio analizzato vi sono stati 11.000 disastri attribuiti a condizioni meteorologiche, climatiche o idriche (in media uno al giorno), che hanno causato più di 2.000.000  di decessi (115 persone al giorno) e 3,64 trilioni di dollari di perdite economiche (202.000.000 milioni quotidianamente). 

Se si considerano i primi 10 disastri, quelli che hanno portato alle perdite umane più considerevoli sono stati la siccità, che ha causato 650.000 morti, le tempeste con 577.232, le inondazioni – 58.700 morti – e le temperature estreme, con 55.736.

Rispetto alle perdite economiche, sempre i primi 10 eventi riguardano le tempeste con una perdita di 521 miliardi di dollari e le inondazioni con 115 miliardi di dollari. 

Considerando l’ultimo ventennio, la situazione non è migliorata, se il 90% dei disastri avvenuti sul nostro pianeta è ancora stato causato da eventi meteorologici estremi, quali inondazioni, tempeste, ondate di calore.

Ai disastri generati dalla natura si aggiungono quelli causati dalla distruttività dell’attività umana, responsabile negli ultimi duecento anni di centinaia di eventi ambientali disastrosi che senza l’intervento dell’uomo si sarebbero verificati molto più sporadicamente. 

L’incuria dell’uomo rispetto all’ambiente in cui vive si è concretizzata nella sovrappopolazione, nell’inquinamento, nello sfruttamento delle risorse ittiche, nella distruzione degli habitat naturali, nella scarsissima o nulla governance dei processi industriali, nella deforestazione, nella modifica genetica e nella proliferazione incontrollata di prodotti chimici, nel riscaldamento globale e nella acidificazione degli Oceani, nel cambiamento climatico che comporta trasformazioni a lungo termine dei modelli meteorologici che definiscono i climi locali, regionali e globali della terra.

Per quanto riguarda l’impatto economico causato dai disastri ambientali generati dall’uomo, secondo un rapporto pubblicato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per la Riduzione del Rischio Disastri (UNISDR), le perdite economiche fra il 1998 e il 2017 sono aumentate del 151% rispetto al ventennio precedente, passando da 1.313 miliardi di dollari a 2.908 miliardi.

Inoltre, in base a uno studio condotto dal Dipartimento di Eccellenza EMbeDS (Economics and Management in the era of Data Science), dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Pennsylvania State University, l’impatto economico degli eventi estremi destruenti si è moltiplicato negli ultimi 50 anni, cosicché si ritiene che ogni anno un evento catastrofico che si collochi tra l’1% dei più dannosi costi circa 26 milioni di dollari in più dell’anno precedente, considerandolo al netto degli aumenti dati dall’evoluzione del reddito, dall’incremento della popolazione e dal crescere dei prezzi.

In Sud America i primi 10 disastri hanno causato il 60% delle vite totali perse (34.854) e il 38% delle perdite economiche (39,2 miliardi di dollari). 

Le inondazioni rappresentano il 90% degli eventi che hanno causato i disastri per numero di decessi e il 41% delle perdite economiche. 

Complessivamente, in un periodo di 50 anni, nella regione, le inondazioni hanno generato il maggior numero di disastri (59%), la maggior perdita di vite umane (77%) e la più alta perdita economica (58%)

Nell’ultimo cinquantennio, la regione ha annoverato il 18% dei disastri meteorologici, climatici e idrici, il 4% dei decessi che si sono verificati come conseguenze e il 45% delle perdite economiche associate in tutto il mondo, avendo come causa prevalente tempeste (54%) e inondazioni (31%). 

In particolare, nella regione, le tempeste sono state responsabili della più grande perdita di vite umane (71%) e perdite economiche (78%). 

Gli Stati Uniti sono la nazione che costituisce il 38% delle perdite economiche globali conseguenti alle condizioni meteorologiche, climatiche e ai pericoli acquatici.

L’area dei Paesi del Mediterraneo presenta uno specifico disastro ambientale causato dall’uomo.

Si tratta, come sostiene l’ultimo report dell’International Union for Conservation of Nature and Natural Resources (IUCN) dell’inquinamento del Mar Mediterraneo causato dalla accumulazione di 1.178.000 tonnellate di plastica – 7% della quantità globale presente nel globo terracqueo – che fanno del Mare Nostrum uno dei più inquinati del pianeta.

I principali Paesi responsabili dell’inquinamento da plastica del Mediterraneo sono l’Egitto, che riversa nel Mediterraneo circa 74.000 tonnellate/anno, l’Italia: con circa 34.000 tonnellate/anno, e la Turchia con 24.000 tonnellate/anno.

Riguardo agli effetti di ricaduta, gli esperti di Plan Bleu attribuiscono a fattori ambientali prevenibili, partendo dalla riduzione dell’inquinamento, il 15% dei decessi tra gli abitanti dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo 

Viene stimata in 61.700.000 di euro ogni anno la perdita a causa dei rifiuti marini.

Vale la pena di ricordare quali sono stati in tutto il mondo i disastri ambientali piu’ rilevanti dovuti all’incuria dell’uomo che si sono avuti dall’inizio del terzo millennio:

Gennaio 2000 – Fuoriuscita di cianuro a Baia Mare, Romania, circa 100 ricoverati per avvelenamenti correlati al consumo di pesce contaminato con livelli di cianuro tra 300 e 700 volte superiori agli standard di inquinamento.

2002 – Inquinamento da intensificazione dell’allevamento di bestiame da latte, Nuova Zelanda.

Novembre 2005 – Esplosioni nell’impianto petrolchimico di Jilin City, Cina, perdono la vita 6 dipendenti e causano l’inquinamento del fiume Songhua con circa 100 tonnellate di sostanze contenenti nitrobenzene e benzene che causano leucemia e riduzione di globuli bianchi.

Febbraio 2006 – Frana di Leyte, Filippine, che uccide migliaia di persone tra cui 250 bambini. Più di 1.500 persone sono ancora oggi disperse.

Dicembre 2008 – Fuoriuscita di cenere di carbone nella Fossil Plant, Usa.

Aprile 2010 – Esplosione della British Petroleum Oil Spill, Golfo del Messico, muoiono126 persone, circa 60 milioni di barili di petrolio fuoriescono dal pozzo per oltre quattro mesi uccidendo uccelli, tartarughe marine, delfini e altri vertebrati e invertebrati marini.

Marzo 2011 – Incidente nucleare alla centrale di Fukushima, Giappone, muoiono 20.000 persone, altre 120.000 devono abbandonare le proprie case.

2015/2016 – La ‘fine’ della Grande Barriera Corallina, Australia

Maggio 2017 – Inondazioni del bacino del fiume Uruguay, (Uruguay), sfollate 3.500 persone e si calcolano perdite di centinaia di milioni di dollari.

Gennaio 2019 – Disastro della diga di Brumadinho, Brasile.

Novembre 2019 – Acqua alta a Venezia, Italia.

2019 – Incendi della Foresta Amazzonica.

Maggio 2020 – Fuoriuscita di combustibile diesel e lubrificanti nel fiume Ambarnaya, Siberia.

Luglio 2020 – Riversamento di olio combustibile da nave cargo, Mauritius.

Giugno 2021 – Caldo estremo in Canada, oltre 200 persone sono morte in relazione a questa eccezionale ondata di calore.

Luglio 2021 – Alluvioni in Germania e Belgio causano 184 morti in Germania e 37 in Belgio. 

Ancora in corso – Deposito di rifiuti elettronici a Guiyu, Cina, l’88% dei bambini avvelenati dal piombo, il tasso di aborti spontanei è più alto del normale.

Ancora in corso – Lenta morte del lago Victoria, Africa, 40 milioni di persone in Uganda, Kenya e Tanzania che dipendono dal lago per il sostentamento si trovano in grandi difficoltà per la propria sopravvivenza.

Come si evince dai dati fin qui riportati, i disastri ambientali non costituiscono solo la causa dell’aggravarsi delle condizioni economiche nei territori nazionali in cui si verificano, ma sono anche responsabili della ben più tragica contabilità delle vittime che non sopravvivono ai disastri e di coloro che, sopravvissuti, in numero considerevole porteranno i segni indelebili dati da condizioni di disabilità più o meno gravi e vivranno disagi psichici da trauma postraumatico che impediranno loro di proseguire serenamente la propria vita, privandoli di fatto della completa possibilità di realizzare progetti e aspettative che saranno loro negati in tutto o in parte.

Nel lasso di tempo preso in considerazione dal Rapporto WMO e UNDRR gli oltre 11.000 disastri ambientali hanno causato oltre 2.000.000 di morti. 

Secondo EM-DAT, il principale database internazionale che monitorizza i fenomeni catastrofici, negli ultimi vent’anni 6.457 catastrofi meteorologiche avvenute in tutto il mondo hanno causato 606.000 vittime, una media di circa 30.000 all’anno, con ulteriori 4,1 miliardi di persone ferite, senza tetto o bisognose di assistenza d’emergenza.

Se si considerano gli eventi atmosferici che hanno flagellato alcuni Paesi che si affacciano sull’Oceano Atlantico, in Sud America le inondazioni sono responsabili del 59% dei disastri e il 77% dei decessi avvenuti.

Nell’America settentrionale e centrale si sono verificati 74.839 morti, con un danno economico di 1.7 trilioni di dollari di danni, con gli Stati Uniti che hanno registrato il 38% delle perdite economiche globali a causa dei pericoli metereologici.

In Europa, dove si sono registrati i citati 1.672 eventi atmosferici disastrosi che hanno causato quasi 160.000 morti e danni economici per 476.5 miliardi di dollari, sebbene il 38% dei danni è stato causato da inondazioni e il 32% da tempeste, è il freddo ad aver causato il 93% dei morti, causando il decesso di 148.109 di donne e uomini. 

I disastri ambientali, sia dovuti ad eventi naturali che causati dall’uomo, costituiscono quello che si può definire un “ciclo destruente” delle vite dei sopravvissuti alle catastrofi.

Innanzi tutto, si assiste da parte loro all’abbandono delle abitazioni distrutte o danneggiate più o meno gravemente in cui vivevano e alla perdita di tutti gli averi che contenevano, gettando sul lastrico donne, uomini di ogni età e bambini.

Rispetto all’avere perduto in un solo istante persone care e ogni punto di riferimento di una vita di lavoro, di relazione affettiva e sociale, costellate di eventi quotidiani e di rapporti con i propri simili consueti, occorre considerare, oltre alla disperazione, al senso di distruzione della propria vita, alla voglia di abbandonarsi e la sofferenza umana, anche il disagio psicologico che può aggravarsi fino a causare anche patologie psichiatriche. 

Il “ciclo destruente” coinvolge anche le imprese di ogni dimensione e di ogni settore produttivo e di servizi spazzati via dalla furia degli elementi, con conseguente distruzione di contesti economici che davano occupazione a imprenditori e addetti.

Spenti i riflettori dei media e finita l’ondata emotiva che coinvolge nella tragedia collettiva durante la fase immediatamente successiva l’evento destruente, la condizione economica, umana e sociale di chi resta è di povertà assoluta.

Gli interventi a sostegno e finalizzati alla sussistenza immediata dei profughi, non sempre sufficienti a garantire una sopravvivenza decorosa e dignitosa per tutti i rifugiati, non permettono di riprendere una vita normale a chi, perso il lavoro, non può più concretizzare  i propri progetti di vita, dare vita ad aspettative, realizzare sogni, provvedere al presente dei figli per permettere loro di migliorare in futuro, non potendo più farli studiare e acquisire una formazione professionale che avrebbe permesso loro di presentarsi nel mercato del lavoro con  conoscenze e saperi utili per trovare occupazione, così da realizzare i desideri cullati nell’adolescenza o nella prima giovinezza, e che invece rischiano la disoccupazione sine die.

Infatti, la ricostruzione di un tessuto economico che permetta di riprendere una vita normale è resa difficile o perché i disastri ambientali hanno completamente distrutto un territorio, o perché le nuove condizioni rendono impossibile o estremamente difficile la ripresa di attività produttive, così da favorire l’occupazione e ridare prospettive agli abitanti.

La stessa ricostruzione, che potrebbe dare vita ad attività di edilizia che permettano la ripresa di imprenditori del settore e di occupare addetti necessari alla operatività è sovente difficile da attuare: esempi di zone abitate spazzate via da terremoti sono dolorosamente presenti in Italia, nella valle del Belice, in Irpinia come all’Aquila, zone distrutte e mai tornate ad essere ricostruite e ripopolate se non da profughi costretti per decenni a vivere in situazioni di precariato abitativo, a volte estremo, e di povertà assoluta data da sofferenza occupazionale per mancanza di ripresa delle attività produttive.

I disastri ambientali hanno quasi sempre un unico finale: contati i morti, superata l’ondata emotiva riguardo all’evento, fatti i calcoli dei danni economici, sostenuti i profughi a livelli di minima sussistenza per garantirne la sopravvivenza, quasi mai si ritorna a ripopolare gli habitat e i contesti economici sociali distrutti dalla natura o dalla incuria dell’uomo.

Tuttavia – e può sembrare paradossale – fin da ora è proprio dalla tutela di alcuni elementi di base dell’ambiente che si può dare vita a “circuiti virtuosi di cura e tutela collettiva degli ambienti”, prevendendo disastri ambientali naturali o causati dall’uomo e rilanciando contestualmente le economie locali.

Il modello di base di questo tipo di circuito risiede in una delle articolazioni della Green economy che nella sua semplicità – che non significa semplificazione del problema ambientale, ma l’opposto – sembra sfuggire come elemento sostanziale preminente per la tutela dell’ambiente ai cosiddetti “Grandi della Terra” in qualunque luogo del pianeta si radunino – l’ultimo summit è stato a Glasgow – nelle pletoriche ma quasi sempre inconcludenti riunioni per affrontare le tematiche dell’ambiente.

Si tratta della tutela dei suoli e delle acque, certamente non un affare lucroso per grandi gruppi imprenditoriali multinazionali o nazionali, ma che permetterebbe sia di tutelare l’ambiente che di creare un volano economico capace di offrire opportunità di occupazione in diversi settori.

È noto che le alluvioni che hanno funestato pressoché tutti i paesi che si affacciano sull’Oceano Atlantico e sul Mediterraneo sono dovuti al fatto che i suoli – soprattutto i boschi non più seguiti dai contadini a seguito del decremento del settore agricolo dovuto alla industrializzazione esasperata – non vengono più curati a volte da decenni, favorendo così “l’effetto plastica” dovuto all’accumularsi di vegetali non estirpati cosicché, in caso di piogge particolarmente copiose, dei veri e propri fiumi di acqua e fango si riversano nelle valli provocando frane e distruggendo tutto  ciò che incontrano nel loro procedere.

I fiumi, a loro volta, non oggetto di manutenzione di argini, greti e letti in cui l’acqua fluviale scorre, in caso di piogge che sempre più frequentemente assumono caratteristiche monsoniche in tutti i continenti, spesso esondano uscendo dagli argini in cui a volte la insipienza degli uomini li hanno costretti a deviare dal loro corso con cementificazioni che ne modificano l’andamento naturale.

Se la tutela dei suoli e delle acque venisse praticata costantemente con interventi strategici e strutturati che vedano impegnati sinergicamente imprenditori privati ed Enti Locali e Nazionali, gli effetti di ricaduta economica e sociale darebbero vita ai citati “circuiti virtuosi di cura e tutela collettiva degli ambienti” con risultati positivi a livello economico e della vita degli abitanti dei diversi distretti territoriali.

Infatti, innanzi tutto, tutelare i suoli e le acque significa prevenire i disastri ambientali, evitando soprattutto perdite di vite umane.

In questo senso, occorre interrogarsi sui costi sociali in caso di morti di donne, uomini, bambini, adolescenti: la perdita di imprenditori, professionisti, addetti costituisce una deprivazione della vita sociale di una nazione, se si considerano tutte le capacità perdute, le professionalità acquisite che avrebbero potuto ancora evolversi in creatività, sviluppo di idee interrotte nel lasso di tempo di un minuto.

Rispetto agli adulti, ma soprattutto ai giovani, le perdite di vite umane privano l’umanità di quanti potenziali, scienziati, ricercatori, studiosi, imprenditori capaci di innovazioni in grado di migliorare la condizione umana?

Quasi mai si calcolano gli effetti di ricaduta negativi in questi termini, ma si tratta di un esercizio che deve diventare oggetto di riflessione collettiva.

Inoltre, prevenendo anche i disastri causati dalla incuria umana di fiumi e terreni, si eviterebbero gli effetti destruenti sull’economia, sia salvaguardando i settori produttivi, sia evitando l’incremento della spesa pubblica finalizzata a riparare i guasti ambientali, a volte con scarsi e ininfluenti risultati, e ad assistere con sussidi a volte protratti sine die i profughi che ben difficilmente potranno tornare a lavorare, riprendendo la propria autonomia economica e una vita normale. 

Ma soprattutto, tutelare suoli e acque permetterebbe di creare occupazione.

Curare boschi, manutenere i corsi fluviali significa impiegare addetti di diverso profilo professionale, da ingegneri, architetti, lavoratori specializzati e non in un lavoro costante e continuativo, perché si tratta di operare professionalmente in settori naturali, che proprio per il ciclo continuativo della natura, richiedono una costante manutenzione perché non può esserci soluzione di continuità in settori della natura che non possono tollerare interruzione, pena l’insorgere di disastri ambientali con le relative conseguenze destruenti.

Il circuito virtuoso permette anche che intorno al nucleo strutturale della tutela di suoli e acque si creino degli ulteriori settori di intervento che favoriscano l’economia locale, creando ulteriore occupazione.

Infatti, gli operatori impegnati nella tutela richiedono inizialmente una formazione di base e successivi aggiornamenti professionali permanenti, interventi formativi che devono essere realizzati da enti di formazione pubblici e privati, creando quindi opportunità di lavoro per i formatori.

Inoltre, si stimolerebbero quei settori dell’economia locale o nazionale che producono macchine di movimentazione terra – trattori, camion, draghe, motozappe, ecc. – oltre ad attrezzi più semplici – picconi, vanghe, zappe, rastrelli, ecc. – da utilizzare da chi lavora nel settore, necessari per manutenere suoli e acque.

Infine, poiché tutelare l’ambiente necessita anche di costruire una cultura collettiva per educare gli abitanti di ogni età che popolano i territori a gestire un rapporto di salvaguardia  e di utilizzo corretto dell’ecosistema che costituisce il loro habitat naturale, si possono attivare interventi educativi da realizzare partendo dalle scuole di ogni ordine e grado, organizzando anche eventi pubblici per tutta la popolazione che trattino della necessità e delle modalità di tutelare l’ambiente e di fruire in modo adeguato delle risorse e delle bellezze che i territori offrono.

I percorsi educativi da realizzare nelle scuole e gli eventi richiedono anche la presenza di docenti, educatori, formatori, animatori culturali e sociali: altre opportunità di occupazione che incrementano l’economia locale e nazionale.

Perseguire su scala territoriale di tutte le nazioni una politica di tutela dei suoli e delle acque significa creare le condizioni di prevenire i disastri naturali, e ovviamente, se la cultura della tutela ambientale diventasse diffusa e finalizzata a insegnare buone pratiche a tutti gli abitanti dei territori, anche quelli causati dall’uomo (si pensi alla plastica che inquina il Mediterraneo!).

Realizzare un modello di intervento a salvaguardia e tutela dell’ambiente che a pieno titolo presenta tutte le caratteristiche di una economia sostenibile e legata all’ecosistema, coinvolgendo gli abitanti dei territori mediante una cultura diffusa e condivisa nell’utilizzo responsabile e armonico dell’habitat naturale in cui vivono, costituisce la cura collettiva di un patrimonio naturale che richiede la tutela da parte di tutti, e che da tutti può essere fruito per godere di un benessere psicofisico collettivo.

La stessa economia ne avrebbe un beneficio, con l’incremento dei PIL delle diverse nazioni e con la riduzione della disoccupazione.

È evidente che dovrebbe essere compito dei decisori politici dare vita a interventi strategici e strutturali che tengano conto di questo settore della Green economy che, pur richiedendo investimenti, potrebbe favorire lo sviluppo dell’economia reale, tanto necessario in questa fase dove tutti i Paesi del mondo devono contrastare e superare la povertà di milioni di cittadini gettati in condizione di estremo disagio dalla pandemia. →

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