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La povertà Atlantica delle due Americhe

di ROBERTO CARDACI – Nel variegato scacchiere dei Paesi che nei territori delle tre Americhe si affacciano sull’Oceano Atlantico, le economie sia di quelli industrializzati – in particolare nell’America Settentrionale – che di quelli che basano la propria economia sul petrolio o vivono di agricoltura o turismo – tendenzialmente concentrati nell’America Centrale e del Sud – la crisi del 2008, vero annus horribilis, protratta negli anni successivi, ha generato effetti di ricaduta destruenti sui diversi settori dell’economia reale, aggravando, soprattutto nei Paesi dell’America Latina, situazioni già pregresse di fragilità delle economie locali.

Le difficoltà economiche in cui i Paesi versavano nel periodo considerato si sono poi aggravate con la pandemia da Covid-19, la cui gestione per combattere il virus ed evitare i contagi mediante periodi più o meno lunghi di lockdown ha generato ulteriori crisi nelle economie locali, un ulteriore incremento del numero dei poveri e l’ampliarsi in termini numerici e negli aspetti qualitativi delle disuguaglianze economiche e sociali.

L’effetto di ricaduta più vistoso e destruente sulla vita sociale degli abitanti di tutti i Paesi del continente americano bagnati dall’Atlantico è stato non solo l’incremento della povertà che, seppure con caratteristiche diversificate, ha interessato gli abitanti di tutte le nazioni, con l’aumento del numero di cittadini poveri, ma anche l’aggravarsi delle disuguaglianze tra i ceti sociali, alcuni dei quali mai in precedenza interessati dal fenomeno della povertà.

La diversificazione della condizione di povertà è ovviamente legata all’andamento negativo dei settori produttivi delle economie e alle politiche di welfare inadeguate messe in atto durante il periodo precedente la pandemia nei Paesi dai rispettivi governi, anch’essi con caratteristiche diverse e peculiari rispetto ai modelli di sistema politico.

L’America Settentrionale

Secondo il Rapporto sulla Povertà pubblicato nel mese di giugno del 2021 dalla Commissione per lo Sviluppo Umano della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, allo stato attuale nel paese 38.100.000  cittadini vivono attualmente in povertà.

Di questi, 11.600.000 sono bambini, il che significa che un minore su sei vive in povertà e, qualora vivesse in una famiglia di quattro persone con reddito annuale inferiore a 25.701 dollari, è considerato sotto la soglia di povertà.

Il tema della consistenza del reddito aiuta a capire la dimensione qualitativa della povertà e le caratteristiche della diseguaglianza negli States: il Rapporto mette in luce come le disparità di reddito e la povertà, già molto consistenti prima della pandemia, hanno avuto un ulteriore incremento, con l’insorgere di nuove forme di fragilità economica tra i nuclei famigliari statunitensi, interessando soprattutto le famiglie di colore.

La fragilità economica, le difficolta delle famiglie statunitensi si spiegano anche con un dato significativo inerente le retribuzioni dei lavoratori: il salario minimo attuale per chi lavora è inferiore ai 10 dollari all’ora e non permette di fatto alle famiglie americane che vivono in condizioni di difficoltà di sostenere col proprio reddito un affitto per un alloggio dignitoso a fronte di canoni di locazione che periodicamente aumentano, mentre, allo stesso tempo, i salari minimi non vengono incrementati.

La situazione dei nuclei famigliari peggiora ulteriormente se al problema degli affitti non consoni ai redditi si aggiunge anche la disabilità di un membro della famiglia, evento che comporta l’obbligo di fronteggiare ulteriori spese sanitarie per le cure necessarie alla persona, non potendo contare che su scarsi sostegni pubblici, date le politiche sanitarie e assistenziali prevalentemente di carattere privatistico vigenti pervasivamente negli USA.

Povertà e disuguaglianze interessano anche il Canada: nel 2013 il 10% più ricco della popolazione deteneva un patrimonio 12 volte maggiore del 10% più povero.

Due esempi verificatisi nei decenni passati in due Stati del Paese sono significativi della povertà e disuguaglianza.

Infatti, per quanto riguarda la povertà, uno studio condotto nel 2018 da Citizens for Public Justice evidenziava come nello Stato di Manitoba tre cittadini su dieci vivevano in una condizione di povertà.

Inoltre, per quanto concerne la disuguaglianza, nel British Columbia, in merito alle disuguaglianze, mentre nel 2013 569 cittadini moto abbienti acquistavano  automobili Porsche (i cui prezzi da listino variano da un minimo di 54.000,00 a 1.000.000,00 di dollari) con un aumento del 20% rispetto all’anno precedente e gli acquisti di Jaguar crescevano dell’80%, di Land Rover del 24% e di Audi del 12%, nello stesso periodo si perdevano oltre 1400 posti di lavoro, cosicché i disoccupati toccavano il record di 157.500 e la povertà infantile arrivava al 18,6% (153.000 bambini, uno su cinque della popolazione infantile).

America Latina

Riguardo all’America Latina, il Rapporto del 2018 della FAO sull’alimentazione e l’agricoltura denunciava l’incremento della povertà rurale nei Paesi che ne fanno parte: in una condizione peggiorata per la prima volta negli ultimi dieci anni, 59.000.000 di abitanti, secondo le analisi del Rapporto, non potevano soddisfare le esigenze di mantenimento primario.

Le disuguaglianze avevano una loro diversificazione a seconda che gli abitanti vivessero nelle città o nelle zone rurali: infatti, mentre solo il 18% della popolazione dell’America Latina vive in campagna, è tra chi abita questa realtà territoriale che si annoverano il 29% di tutti i poveri e il 41% dei poveri estremi.

L’incremento della povertà rurale è stato il catalizzatore della migrazione delle popolazioni verso il Messico, paese di transito per poi raggiungere gli Stati Uniti: sempre secondo la FAO, Il 76% dei migranti dell’Honduras, il 70% di El Salvador e il 61% del Guatemala proviene da comunità rurali.

In Brasile, secondo i dati della Banca mondiale, nell’anno 2016, in concomitanza con le Olimpiadi, il 4,9 %dei 210 milioni di abitanti viveva con meno di 1,90 dollari al giorno: circa dieci milioni di persone non potevano permettersi niente, nemmeno le risorse essenziali come il cibo necessario per sopravvivere.

In Argentina, nel 2019, in base ai dati pubblicati dall’Istituto Nazionale di Statistica, la povertà aveva raggiunto livelli record con 15.000.000 di poveri – 35,4% degli abitanti, 8,1 punti percentuali in più rispetto al 2018, con il 25,4% di famiglie che non arrivava a fine mese – ridotti all’indigenza in quanto non potevano acquistare gli alimenti del paniere-base necessari al sostentamento. Dati dell’Istituto Nazionale di Statistica segnalano inoltre che oltre il 50% dei minori vive sotto la soglia di povertà e che circa l’8% della popolazione si trova in condizioni di povertà estrema. Poiché i dati si riferivano al primo semestre, si stimava che alla fine dell’anno il 37% degli abitanti sarebbe vissuto sotto la soglia di povertà.

Il Paese che presenta il più alto grado di disuguaglianza è il Cile: in base ai dati forniti dalla Comisión Ecónomica Para America Latina y el Caribe (Cepal) si rileva che un decimo della ricchezza del Cile è controllato da solo 550 famiglie, mentre più di metà dei nuclei famigliari cileni ha un reddito annuo inferiore ai 5.000,00 dollari, mentre il 10% più ricco denuncia un reddito pari a 760 mila dollari.

Un elemento significativo del grado di disuguaglianza tra i cittadini cileni è rappresentato anche dal salario: infatti, considerando i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica, mentre lo stipendio minimo stabilito per legge è di 301mila pesos cileni (370 euro), metà dei lavoratori cileni percepisce uno stipendio inferiore ai 400 mila pesos (490 euro).

Pandemia e povertà

Il quadro di povertà e disuguaglianze nelle Americhe fin qui delineato ha subito ulteriori, massicci peggioramenti di entrambi i fenomeni a causa della pandemia da Covid-19 e degli effetti di ricaduta che la gestione della situazione sanitaria ha prodotto sull’economia e, di conseguenza, nella vita sociale dei cittadini.

Della situazione attuale degli Stati Uniti si è riferito in precedenza.

Rispetto all’America Centrale, per quanto, secondo i dati ufficiali della OMS, i casi di morbi-mortalità da Covid-19 nei sette Stati dell’istmo centroamericano (Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costarica, Panama e Belize) non siano i più elevati del pianeta, si prevede che le conseguenze economiche e sociali sono e saranno molto pesanti nei prossimi anni, col rischio di mettere in crisi la tenuta della già fragile democrazia in quei Paesi.

La Segreteria per l’Integrazione Economica Centroamericana (Sieca) prevedeva per il 2020 una contrazione del tasso di crescita per i Paesi dell’area dal 2,9 al 6,9%, contrazione data da diminuzione dell’attività economica dei principali partner commerciali, caduta dei prezzi delle materie prime, collasso del turismo, caduta degli investimenti stranieri e peggioramento della situazione finanziaria internazionale.

La pandemia ha anche incrementato la dimensione della povertà assoluta, relativa ed estrema: secondo la Cepal, gli abitanti sotto la linea della povertà sono passati dal 16% del 2019 al 19,1 nel 2020 in Costarica, dal 47,1 al 52,7 in Nicaragua e dal 35,7 al 38,9 in tutta l’area.

Lo stesso ente calcola dal 2019 al 2020 un aumento dal 4 al 5,3 in Costarica e dal 18 al 22,2 in Nicaragua, con una media dal 12,3 al 14,3% in tutta l’area.

Da rilevare come secondo l’ONG Azione contro la Fame la crisi economica conseguente alla pandemia inciderà sulla sicurezza alimentare di milioni di persone in America Latina.

Infatti, tenendo conto che negli ultimi anni precedenti la pandemia il numero degli abitanti denutriti era cresciuto di 9.000.000, le stime, secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, indicano che entro il 2030 i livelli di fame potrebbero passare dal 7% all’8% della popolazione (67.000.000 di persone) a causa della pandemia e della concomitante presenza nell’area dell’America Centrale di siccità e migrazioni.

Riguardo al Brasile, sembra non ci siano ancora dati inerenti all’incremento della povertà, probabilmente difficili da reperire e sistematizzare nella situazione attuale del Paese, visto anche come il criticato governo Bolsonaro ha gestito la situazione sanitaria allo scoppio della pandemia che ha causato quasi 600.000 mila decessi legati al Covid su una popolazione di circa 212.000.000 di persone, verso il basso chi già si trovava in un fragile equilibrio.

Tuttavia, si può delineare un quadro della situazione in cui versa la popolazione brasiliana prendendo in considerazione due significativi indicatori “informali”.

Il primo riguarda l’incremento dei senza dimora: un recente censimento rileva che nella metropoli di San Paolo circa 25.000 donne e uomini vivono costantemente per strada, ma per le Associazioni di volontariato che se ne curano il numero reale è di oltre 40.000 donne e uomini.

L’Arsenale della Speranza, gestito nella metropoli paulista dal Servizio Missionari Giovani con l’aiuto del Comune, ospita fino a 1.200 persone alle quali garantisce un posto dove dormire, lavarsi e mangiare.

Secondo Simone Bernardi, uno dei Responsabili dell’Arsenale, con la ripresa delle attività economiche è emersa tra i poveri estremi una nuova tipologia di cittadini che prima della pandemia lavorava da precari o senza un contratto e che, comunque, non ha usufruito di alcun ammortizzatore sociale; poveri estremi che giungono anche da Rio de Janeiro, poiché la grande contrazione dell’attività turistica nella città carioca ha privato del lavoro centinaia di persone.

Altro indicatore è rappresentato dalla dolorosa constatazione dei vescovi brasiliani, espressa al termine dell’Assemblea plenaria virtuale della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile: “Il Brasile sperimenta l’aggravarsi di una grave crisi sanitaria, economica, etica, sociale e politica, intensificata dalla pandemia, che ci sfida, a partire dalla diseguaglianza strutturale radicata nella società brasiliana. Nonostante tutti soffrano la pandemia, le sue conseguenze sono più devastanti per la vita dei poveri e dei più fragili”.

In Argentina, secondo il Rapporto “Effetti della pandemia Covid-19 sulle dinamiche del benessere nell’Argentina urbana” pubblicato nel 2021 dall’Osservatorio del disagio sociale dell’Università cattolica argentina, gli abitanti poveri sono cresciuti dal 40,8% nel 2019 al 44,2% nel 2020, per un totale di 20,3 milioni di argentini, con il tasso di indigenza incrementatosi dall’8,4% al 9,8% nello stesso periodo.

Il Rapporto evidenzia anche che se si considera la condizione lavorativa degli abitanti si è verificato un aumento notevole della disoccupazione, passata dal 10,6% al 14,2%.

L’indigenza ha raggiunto livelli altissimi e insostenibili soprattutto nell’hinterland della capitale: “(L’indigenza) colpisce con maggiore intensità i segmenti sociali dello strato marginale inferiore e le abitazioni della periferia di Buenos Aires. In questi casi, gli indigenti sono aumentati in modo significativo dal 2013-2014, raggiungendo il 23,4% rispetto al 13,6% di partenza”.

I soggetti più penalizzati, sempre in base a quanto riferito dal Rapporto, sono i minori e gli adolescenti: “Nel terzo trimestre del 2020, nel gruppo di bambini e adolescenti da 0 a 17 anni la percentuale degli indigenti sale al 15,7%. Per quanto riguarda l’evoluzione nell’ultimo anno, i dati mostrano un maggiore aumento dell’indigenza nella popolazione di bambini, adolescenti e giovani dai 18 ai 29 anni, rispetto all’incremento registrato nella popolazione totale”.

L’analisi dell’Osservatorio mette in luce in modo marcato come la pandemia si è abbattuta su un contesto di povertà e disagio sociale già in forte incremento, in particolare nel biennio 2018-19, e le cifre sarebbero state molto più alte senza gli aiuti stanziati dallo Stato nell’ultimo anno, attraverso i programmi di Assegnazione universale per figlio (Auh) o il Reddito familiare d’emergenza: la assistenza sociale ha raggiunto la percentuale record del 55,4% della popolazione totale e il 79,9% della popolazione in situazione di povertà.

Quali interventi contro la povertà

È evidente che se si intende contrastare in maniera efficace l’attuale povertà per migliorare in modo radicale la condizione delle persone che la vivono, fornendo loro delle prospettive per un futuro in cui realizzare progetti di vita e aspettative, è necessario superare o abbandonare del tutto rimedi che non solo si sono rivelati inefficaci nel periodo precedente la pandemia – ormai da considerare come un vero e proprio discrimine epocale – ma che nella attuale emergenza porterebbero ad aggravare la situazione presente, col rischio di minare alle fondamenta la coesione sociale di pressoché tutti i Paesi delle  Americhe.

Vale la pena di precisare che lo stesso rischio corrono anche tutte le nazioni del pianeta,  che, seppure hanno reagito in maniera differenziata prima alla gestione della pandemia, poi agli effetti di ricaduta sull’economia e la condizione di vita sociale dei cittadini, si trovano tuttavia ad affrontare il presente ed il futuro con le stesse incognite e preoccupazioni.

Di conseguenza, la sfida che la crisi da pandemia ha lanciato a tutti i Paesi del mondo non può essere accettata e superata con interventi semplificatori e “tradizionali”, ma con analisi approfondite e critiche della situazione reale e con una capacità progettuale e di gestione degli interventi strutturati e messi in atto che sia di alto profilo, strategica, strutturale e destinata a durare nel tempo, tenendo conto del mutare delle situazioni.

Due sono le principali linee guida da tenere presente se le risposte vanno nella direzione, peraltro necessaria, di attuare scelte di alto profilo. La prima riguarda la necessità di individuare a livello economico linee di sviluppo che tengano conto delle risorse che possono essere utilizzate per rilanciare l’economia reale secondo una logica di sostenibilità e di tutela effettiva e reale dell’ambiente.

In questo senso, occorre valorizzare e sostenete in particolare le piccole e medie imprese e la cooperazione nazionale e internazionale, uscendo dalla logica che solo le multinazionali e le grandi imprese hanno la capacita di creare sviluppo e occupazione, quando esistono migliaia di ricerche, analisi e studi di settore che mettono in evidenza come sono state le piccole e medie imprese, anche a carattere artigianale, a costituire la spina dorsale delle economie nazionali.

Lo sviluppo economico è l’unica possibilità per creare occupazione per quei cittadini poveri che sono in grado di lavorare, e per i quali occorre predisporre una formazione o aggiornamento professionale che sia però strettamente legato alle esigenze delle imprese per favorire lo sviluppo delle economie territoriali.

Altro elemento riguarda le politiche di Welfare: per aiutare le fasce sociali fragili a uscire dalla condizione di povertà è necessario superare gli interventi a carattere prevalentemente assistenziale, e predisporre politiche che siano basate sul Welfare Generativo e di Comunità.

Un orientamento a favore dei poveri basato sul Welfare Generativo tiene conto non solo dei problemi di cui i fruitori sono portatori, ma soprattutto delle loro capacitazioni – secondo la definizione di Sen – cioè di tutte le competenze, conoscenze, esperienze di lavoro e di vita che posseggono, delle loro aspettative e della loro volontà di rimettersi in gioco, reintegrandoli o inserendoli ex novo nel mondo del lavoro per permetter loro di progettare un futuro migliore per se’ stessi, le loro famiglie e soprattutto i figli, che molto difficilmente avranno un futuro se le loro madri e i loro padri non hanno un presente.

Il Welfare di Comunità è necessario perché’ in ogni territorio mette in relazione  sinergica e collaborativa tutte le entità, pubbliche e private, che possono mettere  a disposizione risorse per sviluppare le economie locali, dando cosi opportunità di occupazione a quei poveri che, considerati soggetti attivi perché possiedono capacitazioni su cui poter sviluppare i loro progetti di vita, se possono lavorare, escano dalla loro condizione di povertà per essere cittadini attivi e in grado di contribuire al benessere collettivo.

Risulta del tutto evidente che il Welfare a carattere assistenziale dovrà prendersi cura di quei poveri che non potranno rientrare nel mondo del lavoro: ma anche per questi soggetti più fragili e deboli si può, considerando le loro capacità, desideri e aspettative, predisporre, oltre a un sostegno economico per la loro sussistenza,  dei progetti socio – culturali che li facciano sentire soggetti attivi e partecipi della vita sociale, evitando che si ritrovino nell’isolamento e nella solitudine sociale in cui le donne e gli uomini che vivono in condizioni di povertà troppo sovente si trovano confinati nel sistema sociale in cui vivono.

In ultima analisi, occorre operare a livello territoriale in modo sistemico, costruendo relazioni sinergiche tra i settori dell’economia e quelli delle istituzioni pubbliche, secondo il modello di rete che mai come ora appare essenziale per creare progetti di sviluppo e di contrasto alla povertà che siano strategici, strutturali e soprattutto proiettati nel futuro.

È evidente che nelle Americhe – e comunque a tutte le latitudini e longitudini della Terra – ogni paese ha le sue peculiarità riguardo alle risorse economiche, alle opportunità di sviluppo, le proprie politiche di Welfare che non possono non tenere conto delle risorse disponibili.

Se gli Stati Uniti con la Amministrazione Biden hanno messo a disposizione 1000 miliardi di dollari per gli investimenti, così da rilanciare l’economia, nessun altro Paese delle Americhe, salvo forse il Canada, potrebbe sostenete investimenti di questa portata nei diversi settori produttivi e dei servizi.

Tuttavia, altre strade si possono praticare.

Ad esempio, nell’America Centrale, la Cooperazione gestita da Associazioni svizzere per favorire lo sviluppo economico nell’aerea, sta operando per rafforzare le piccole imprese, vera e propria colonna portante dell’economia, incoraggiando le catene di valore aggiunto rurali legate a risorse territoriali: cacao, all’anacardo, all’allevamento sostenibile di bestiame e all’agriturismo.

Con un’organizzazione basata sui comitati rurali e incrementando la qualità dei prodotti e le vendite, i piccoli contadini e le piccole imprese rurali possono aumentare il proprio reddito.

Inoltre, operando con questi criteri, si sostiene il miglioramento delle condizioni – quadro economiche per i piccoli produttori, appoggiando ad esempio i Ministeri dei diversi Paesi centroamericani competenti nell’elaborare e applicare politiche di promozione nazionale.

Altro elemento fondamentale per lo sviluppo è la formazione professionale per i giovani, che incrementa le loro possibilità di lavoro nelle regioni rurali e nei quartieri poveri, dove, in quelli a elevata criminalità, si contiene la violenza e la criminalità.

Le soluzioni per combattere la povertà e ridurre le disuguaglianze ci sono e sono praticabili.

Ma ogni prospettiva di evoluzione per i poveri resta lettera morta se non vi sono decisioni coraggiose di carattere politico, soprattutto a livello nazionale, per modificare la rotta fin qui tenuta.

Già nel periodo pre – pandemia studiosi come Piketty e Stiglitz mettevano in risalto come tutte le intenzioni evolutive e le possibilità di uscire dalla povertà e superare le disuguaglianze più profonde e radicate si erano infrante contro la pressoché assoluta incapacità decisionale dei decisori politici.

Una carenza di capacità di analisi critica, progettazione, di fare sistema e di individuare linee di interventi strategici, strutturali e continuativi che oggi nessuna nazione si può più permettere se si vuole evitare di precipitare il mondo in una voragine dalla quale sarebbe impossibile risalire, se non per le élites economiche e di potere. ®

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