Don Salvatore Gatto

La strategia del tressette / Don Salvatore Gatto

di Mauro Alvisi e Antonietta Malito

Don Salvatore Gatto, 85 anni, di Serrata (Reggio Calabria), è un affermato imprenditore del Sud Italia. Partendo dal nulla, con la sola licenza elementare, è riuscito a offrire grandi opportunità lavorative a tanta gente in una terra, la Calabria, dove il lavoro scarseggia da sempre. 

Quest’uomo, caparbio e lungimirante, amante del lavoro a cui ha dedicato la sua vita, con semplicità, onestà e dedizione, è riuscito a realizzare tutti i suoi sogni, andando oltre ogni aspettativa.

Figlio di agricoltori, fin da piccolo ha imparato a conoscere i sacrifici e ad apprezzare la fatica dei suoi genitori, che nella terra hanno riposto le loro speranze. 

È poco più di un bambino quando comincia a cercare un lavoro per contribuire ad aiutare la famiglia. A 16 anni, vendendo frutta e verdura al mercato, riesce a comprare una piccola Ape a tre ruote e, ottenuta la licenza, fa il venditore ambulante. È maggiorenne quando, con la sua macchina, una Fiat 500 Belvedere, inizia a viaggiare nel nord Italia per acquistare prodotti ancora sconosciuti nella sua terra, come i provoloni e le forme di parmigiano reggiano stagionate, il parmacotto, il whisky scozzese. 

Gli affari vanno bene e un anno e mezzo più tardi riesce a comprare due furgoni per spostarsi fino a Reggio Calabria. Qui c’è un grossista che gli vende beni alimentari e gli fornisce gli indirizzi giusti per contattare le aziende. Le visita una ad una e tratta con i titolari. Stringe buoni rapporti con tutti facendosi apprezzare per la sua correttezza e la puntualità nei pagamenti. Si fidano di lui e ammirano il suo modo di fare garbato e gioviale. Per un anno vende all’ingrosso salumi e formaggi nel suo paese, poi si sposta a Laureana di Borrello, un altro comune della provincia, ma molto più grande di Serrata e con un bacino d’utenza maggiore. Qui inizialmente apre un magazzino che poi cede a suo cognato. Intanto gli affari vanno molto bene e Salvatore si fa costruire un edificio e ci va ad abitare con la famiglia. Al primo piano dello stabile si trasferisce una banca, al secondo la caserma dei carabinieri. Di fronte al palazzo, fa costruire un supermercato. Ora Salvatore dispone di due camion e di un autista-rappresentante e può avvalersi della collaborazione di una ragioniera. Nonostante tutto, gli ostacoli non mancano. 

Oggi è un uomo appagato ma ancora tanto volenteroso. Don Salvatore Gatto è un impavido guerriero che ha ancora tanto da fare, da dire e da insegnare. 

Siamo andati a trovarlo nella sua elegante e sobria dimora. Lui ci accoglie con il sorriso e l’ospitalità tipica delle gente del Sud, aprendoci la sua casa e soprattutto il suo cuore, come dimostra l’intervista che abbiamo realizzato. 

– Don Salvatore, quali valori hanno ispirato la sua vita professionale?

«Premetto che i valori sono sempre stati alla base del mio agire. L’onestà e la correttezza, in primis, mi hanno consentito di instaurare importanti rapporti di fiducia con tutte le persone che ho incontrato nella mia lunga esperienza lavorativa. Rapporti che, nel tempo, si sono consolidati sempre di più, contribuendo ad accrescere ovunque la mia reputazione di persona perbene, rispettosa degli impegni assunti. Il mio segreto per riuscire nel lavoro è stato, fin dall’inizio, l’essere abile a stringere amicizia con i vertici aziendali delle varie realtà economiche con cui sono entrato in contatto. Spesso mi sono fermato a pranzare con titolari e manager aziendali, mostrandomi sempre così come sono: semplice, schietto, aperto al dialogo e a nuove avvincenti sfide. Queste caratteristiche del mio carattere, unite al mio essere onesto, leale, credibile, mi hanno pian piano permesso di costruire l’ottima reputazione di cui godo e di cui vado fiero. Questi valori, uniti all’amore per il mio lavoro, li ho trasmessi ai miei figli». 

– Tornando indietro nel tempo, al periodo in cui mosse i primi passi nel mondo del commercio al dettaglio, c’è un episodio che ricorda con nostalgia?

«Sì, ce n’è uno in particolare. Ricordo che un giorno acquistai della merce da un nuovo fornitore, presentatomi da un amico. Quell’amico si chiamava Giuseppe Verdi e oltre a essere omonimo del grande compositore era anche un suo nipote diretto. Accadde che non avendo io a disposizione il denaro contante per pagare la merce acquistata, pensai di emettere un assegno. La scelta non piacque al fornitore, agli occhi del quale ero ancora un perfetto sconosciuto. La questione fu risolta da Giuseppe Verdi che si offrì di pagare per me, emettendo un assegno a favore del suo conoscente. Con questo gesto, che apprezzai molto, il mio amico fece comprendere a quell’uomo che io ero una persona della quale avrebbe potuto fidarsi. Questo episodio è solo uno di tanti. Ricordo anche il padre di Mina Mazzini, la nota cantante, che stagionava provoloni, per non parlare di quella volta in cui comprai ben 1.700 forme di parmigiano da portare in Calabria». 

– E un ricordo che le è rimasto caro nel cuore?

«Ricordo che a 18 anni, con la mia Fiat Belvedere, quella con gli sportelli in legno, raggiungevo per lavoro la città di Cremona. Il viaggio era sempre un’avventura perché fino a Napoli non c’era ancora l’autostrada e per arrivarci si dovevano percorrere strade alternative, non sempre agevoli. Da Napoli in su, guidando in autostrada, impiegavo nove ore per arrivare a destinazione. Giunto sul posto, caricavo in macchina la merce che nei giorni successivi avrei venduto in Calabria. Siccome a quel tempo non disponevo di molti soldi, anziché fermarmi a riposare in un albergo, rimanevo a dormire nella mia cara Topolino. Che tempi quelli! Non li dimenticherò mai».

– Com’è iniziata l’avventura che l’ha portata a diventare un imprenditore di successo?

«È iniziata presto. Avevo 13 anni quando decisi di dedicarmi al commercio. Già pensavo in grande. L’idea mi venne perché mio cognato vendeva nei mercati e anch’io decisi di iniziare a vendere. Crescendo, comprai un locale che destinai a deposito. Acquistavo la merce prevalentemente in Lombardia, a Milano e a Como, e in Emilia Romagna. Portai il parmigiano in Calabria quando ancora qui era una novità. All’inizio rifornivo i negozi, poi, con gli anni, cominciai a rifornire anche alcuni enti pubblici. Ho sempre lavorato intensamente e con passione, senza riserve, e la vita mi ha premiato. A poco a poco, la mia attività è cresciuta e dal niente è diventata una realtà sempre più importante. Oggi che ho 85 anni, di cui 72 passati a lavorare, ho ancora voglia di investire in nuovi progetti. Per me il lavoro non è mai stato un sacrificio ma una grande passione. Insieme alla famiglia, ha sempre rappresentato la mia ragione di vita». 

– Quante e quali difficoltà ha incontrato durante il percorso?

«Le difficoltà sono state tante, per lo più legate al territorio, ma non hanno mai minimamente ostacolato il mio percorso. Ho anche incontrato molte persone senza voglia di lavorare, che non hanno ripagato la mia fiducia in loro. Ma sono un uomo determinato, coraggioso, che ha sempre creduto nei propri sogni, senza mai mollare. I fatti lo dimostrano». 

– Chi l’ha aiutata in tutti questi anni?

«Ho sempre fatto tutto con le mie forze e col sostegno delle banche, di cui mi sono guadagnato la fiducia. Sono figlio unico e non ho potuto contare sull’aiuto della mia famiglia d’origine. A Serrata, il mio paese natale, molte persone non credevano che i miei successi fossero unicamente frutto del mio lavoro. Pensavano che fossi stato baciato dalla fortuna con una ingente vincita alla Sisal. I miei sette figli, quattro maschi e tre femmine, mi sono stati accanto in diverse occasioni. Sono fiero di loro perché hanno ereditato la mia stessa dedizione per il lavoro, tanto che oggi sono degli affermati e apprezzati professionisti. Erano ancora dei ragazzini quando, al ritorno dalla scuola, mi raggiungevano sul lavoro per darmi una mano. Mi sono sempre sentito circondato dall’affetto della mia numerosa famiglia e ora, anche grazie ai miei 15 nipoti, questo affetto si è amplificato. Sono un padre e un nonno amato e questo amore è la mia più grande gratificazione». 

– Sua moglie è scomparsa qualche anno fa. Quanto è stata importante nella sua vita?

«Mia moglie non c’è più da 11 anni. L’ho sposata che avevo 24 anni. Mi è stata sempre accanto moralmente e, nei primi anni d’inizio attività, mi ha anche dato una mano al deposito che avevo a Serrata. Per me la famiglia è sempre stata importante e lei è stata il pilastro su cui l’ho fondata. È stata un’ottima mamma e una grande donna, che ha saputo perdonare le mie debolezze». 

– Quali caratteristiche deve possedere un buon imprenditore? 

«Innanzitutto, deve avere voglia di lavorare e fare esperienza. L’improvvisazione non è consentita se si vogliono compiere scelte importanti e ottenere grandi risultati. Un buon imprenditore dev’essere onesto, capace di relazionarsi con gli altri e di ispirare fiducia, competitivo, in grado di riconoscere le buone occasioni e coglierle al volo. I giovani imprenditori, poi, dovrebbero considerare l’idea di costituire delle cooperative per valorizzare i prodotti del territorio». 

– Quali sono le maggiori difficoltà che incontra un imprenditore nel fare impresa?

«Le difficoltà maggiori per un imprenditore sono rappresentate dalla burocrazia e dalle enormi tasse che gravano sulle imprese. Lo Stato italiano, anziché sostenere chi vuole fare impresa, lo penalizza pesantemente. Se dovessi iniziare oggi il mio percorso, avrei grosse difficoltà. Non posso fare a meno di pensare ai giovani che si sentono scoraggiati, abbandonati, impotenti, di fronte a queste difficoltà. Lo Stato dovrebbe ridurre le tasse e, cosa non meno importante, dovrebbe diminuire, se non dimezzare, il numero dei parlamentari. In Italia tanta gente vive in povertà. Il reddito di cittadinanza non è una soluzione, la soluzione dovrebbe essere il lavoro».

– A chi ha insegnato il suo lavoro? 

«A nessuno, neanche ai miei figli perché hanno scelto di seguire altre strade, altri sogni. Purtroppo, la mia esperienza è un patrimonio che rischia d’andare disperso. I giovani dovrebbero fare quella che io chiamo l’università della strada. Oltre che studiare, dovrebbero imparare un mestiere o a coltivare la terra. La società non ha bisogno solo di laureati, ma anche di artigiani, di agricoltori e allevatori, figure che stanno scomparendo. Non possiamo non pensare che quando perdiamo un artigiano o qualcuno che ha fatto il mio stesso mestiere, l’intera società civile, l’intero territorio, non perdano anche un pezzo importante. Se non c’è continuità la perdita è totale». 

– L’esperienza è dunque una carta vincente?

«È importantissima per la crescita di ognuno di noi. E ciò che ci consente di scegliere quello che è più giusto per la nostra vita e per il nostro lavoro. Le esperienze, positive o negative, sono un bagaglio importante». 

– Fra le diverse attività che svolge, qual è quella che le ha regalato maggiori soddisfazioni? 

«L’attività che mi ha dato maggiori soddisfazioni continua a essere il commercio. Anche se negli anni ho diversificato, l’attività commerciale, ovvero il mio primo amore, rimane quella a cui sono più legato». 

– C’è ancora un sogno nel cassetto che vorrebbe realizzare?

«Ce ne sono tanti. Uno fra tutti, mi piacerebbe costruire una clinica universitaria».

– Oggi le donne che decidono di fare impresa sono di più rispetto agli uomini. Cosa le spinge a rischiare?

«Le donne hanno più iniziativa, voglia di realizzarsi, di essere autonome. È questo che le spinge a mettersi in gioco, a rischiare. E poi, hanno una marcia in più».

– Quali consigli si sente di dare a un giovane che oggi voglia fare impresa nel sud d’Italia?

«Gli consiglierei di investire nell’agricoltura e nell’allevamento, due settori spesso ingiustamente trascurati; di costituire delle cooperative, per produrre ad esempio olio d’oliva. E poi, di metterci cuore, passione, impegno, dedizione. Infine, ma non per ultimo, ai giovani mi sento di dire di pensare al domani immaginando una famiglia, quindi dei figli. Il patrimonio più grande e prezioso di ogni uomo». 

E allora, nel rispetto delle parti di un personaggio che non ha pirandellianamente bisogno d’autore, tentiamo di rappresentare nella metafora del tresette, gioco così tanto amato e praticato da Don Salvatore Gatto, un nuovo paradigma dell’esistenza.

Le quaranta carte vincenti del Gatto:

1.  Fare senza annunciare. Occorre fare almeno dieci volte più del dire, anzi fare senza dirlo prima, senza grandi annunci. 

2. Fare e dare il meglio di sé agli altri. Fare per il bene collettivo. Fare tenendo presente di aprire opportunità per la collettività e per il bene comune. Creare posti di lavoro e condividere i successi. Quindi fare è sempre un po’ dare. 

3. Operare nel bene. Ogni nostra azione deve contenere anche opere di bene.

4. Generosità e Gratitudine. Occorre sempre mostrare generosità e gratitudine per chiunque ne sia degno, senza mai farne troppa pubblicità.

5. Concreti e senza temere le sfide. Realizzare cose concrete e tangibili non dimenticandosi mai di uscire dal guscio della propria terra natale, di guardare oltre il giardino di casa propria. Cercare una sfida. Anche difficile.

6. Pensare in grande e agire nel dettaglio. Bisogna pensare in grande ma agire nel piccolo dettaglio quotidiano. 

7. Scegliere il giusto luogo. Vi è un luogo giusto per ogni cosa. Per costruirci la propria casa e fare famiglia, per avviare un’attività, per rilassare corpo e mente, per incontrarsi in campo neutro, per negoziare e concludere affari, per sancire una pace o avviare una guerra. I luoghi che scegliamo parlano di noi.

8. Curare ugualmente Emergenze ed Eccellenze. Le cose della propria vita privata e professionale che funzionano, le eccellenze, vanno moltiplicate e preservate. Quelle che attraversano una fase critica, le emergenze, vanno risolte nel minor tempo possibile. Se si trascura di curare un’Eccellenza può diventare un’Emergenza, così come se si ha cura di un’emergenza può trasformarsi nel tempo in eccellenza.

9. La metafora del gioco tresette. La vita è un gioco. Vivere è giocare le proprie carte. È come il gioco del tresette. Si deve allenare la memoria, registrare ogni carta e mossa giocata, osservare come hanno giocato i propri antagonisti, e prima della fine del gioco sapere quali carte si possono ancora pescare dal mazzo del tempo. E cercare durante il proprio cammino di divertirsi spesso.

10. Criticare solo dopo aver provato a cambiare le cose. Si ha diritto a criticare la propria terra e la propria gente solo quando si è tentato di cambiarla in meglio e di contribuire a migliorarla. Tutti possono fare la loro parte. La Calabria non può essere solo il luogo del buen retiro e della sepoltura dopo aver tentato fortuna all’estero. Per restare serve coraggio. Serve una visione e serve un progetto da realizzare. Nella consapevolezza che più questo progetto vale e tanto più verrà ostacolato, avversato dalla mediocrità e dal malaffare.

11. Onore delle origini e della propria storia. Occorre onorare e mai rinnegare le proprie origini e la storia che portiamo in spalla, con le sue croci e i suoi altari.

12. La sapienza e la pazienza dell’ascolto. Occorre usare le orecchie almeno il doppio della bocca. Non è un caso che siano una la metà delle altre due. La sapienza e la pazienza di saper ascoltare producono grandi vantaggi.

13. Non c’è valore senza passione. Occorre mettere una straordinaria passione e smisurato amore in tutto quello che facciamo nella vita.

14. Pensare lenti e agire veloci. Occorre riflettere a lungo e poi agire fulmineamente, in modo felino e senza arretrare mai d’un passo.

15. L’arte del Buon Senso. Occorre si rispettino pochi sani principi invalicabili, ispirati al buon senso, nell’agire quotidiano.

16. Cogliere l’attimo. Serve essere veloci nel cogliere l’attimo dell’opportunità.

17. L’onestà alla lunga paga. Si deve sempre praticare l’onestà perché ci assicura sonni tranquilli e relazioni durature e soddisfacenti.

18. Astuzia sì ma senza inganni. Negli affari l’astuzia commerciale non contempla mai l’inganno o la pratica losca.

19. Puntare alla bellezza. Occorre sempre puntare a circondarsi del bello, a curarlo, a generarlo.

20. Famiglia baricentro dei valori. La famiglia, quella da cui veniamo, quella che generiamo e infine quella che generano i nostri figli è il piccolo grande mondo prezioso da proteggere sempre.

21. Umiltà vera forza interiore. Occorre essere umili e forti e mai montarsi la testa.

22. Essere minimalisti e semplici. Occorre celebrare il minimo le vittorie e piangere il minimo le sconfitte. Agire nella semplicità.

23. Contare prima su sé stessi. Tutto ciò che vi è possibile fare da soli senza chiedere alcun aiuto esterno fatelo, senza esitare.

24. Delegare controllando. Quando si rende necessario ricorrere all’aiuto di terzi, delegando compiti e operazioni, non mancare mai di avere il pieno comando e controllo delle operazioni. Verificare spesso pertanto le deleghe assegnate.

25. Attenersi alle regole vigenti. Condursi sempre nel rispetto delle regole vigenti, seguendo le disposizioni di legge per non incorrere in sanzioni e screditare la propria reputazione.

26. Dare e pertanto chiedere rispetto. Non dimenticarsi mai che il rispetto è una moneta che occorre pagare per primi affinchè torni nelle nostre tasche.

27. Assicurarsi sempre di osservare e insegnare i principi della buona educazione. Una buona educazione è il biglietto da visita che apre molte se non tutte le porte delle relazioni sociali.

28. La scala delle decisioni. Qualsiasi cosa si immagini o si sogni di poter fare è fattibile in principio, se la si vuole fare poi occorre progettare un piano, se si ha un piano si può iniziare, se si decide di iniziare si deve andare fino in fondo, qualsiasi ostacolo si incontri.

29. Est modus in rebus. Comportarsi e costumarsi sempre in modo sobrio e moderato evitando di poter apparire eccentrici o stravaganti.

30. Mangiare bene per vivere e non vivere male per mangiare. Se l’uomo è anche ciò che mangia allora la qualità e la quantità del cibo a tavola fanno la differenza. La prima perché mangiar bene consente di restare in salute e prosperare. La seconda perché la frugalità di una corretta nutrizione rifugge dalla patologia della golosità, che comporta molti spiacevoli effetti sulla persona.

31. Imparare dagli Errori. Bisogna sempre imparare dagli errori. Da quelli nostri e da quelli altrui. Per non ripeterli e migliorarsi di continuo.

32. Impararare dai grandi avversari. Circondarsi  di grandi figure e di grandi avversari. Ogni concorrente nella competizione della vita può insegnarci qualcosa. Se però si frequentano i grandi allora s’impara dai grandi e questo accelera la propria crescita personale.

33. Diffidare dai complimenti non dovuti. Si deve fare sempre molta attenzione all’invidia altrui che spesso si maschera dietro a falsi apprezzamenti.

34. Investire nella conoscenza delle storie e delle soluzioni interessanti. Utilizzare sempre una parte dei propri guadagni nel viaggiare per cercare nuove soluzioni e incontrare nuova gente interessante per i propri obiettivi.

35. Guardare indietro ogni tanto prima di nuovi passi. È buona cosa riguardare periodicamente al tempo passato, esaminando tutto il buono e il meno buono trascorso, per avere sempre coscienza del presente, come punto di arrivo e prima di ogni nuovo futuro passo.

36. Vivere e imprendere comporta assumersi dei rischi. Se si ha paura di rischiare non si può pensare di costruire nulla di nuovo e buono nella vita. Il coraggio delle proprie azioni è fondamentale.

37. Assicurare cura costante alle proprie cose. Qualsiasi cosa si voglia sviluppare e far crescere necessita di costanti cure. Se non si è in grado di assicurarle non si devono intraprendere nuove avventure. Se non la si può curare ogni giorno non crescerà, anzi intralcerà il proprio cammino.

38. Conoscere per decidere. Ascoltare quante più informazioni approfondite prima di ogni decisione. Sentire più campane senza lasciarsi troppo condizionare.

39. Trattare sempre e solo con i vertici. Cercare sempre di parlare con chi prende le decisioni definitive in qualsiasi organizzazione.

40. L’Università della Strada o la bottega del fare. Puoi studiare, laurearti, anche più d’una volta, e questo è un abito del tuo guardaroba non il guardaroba. Lì fuori contano i fatti più dei titoli. L’università è un obiettivo alto ma senza l’Università della Strada, l’imparare dai maestri, dalle loro esperte azioni, nelle loro botteghe del saper fare il tuo sapere non ti sarà sufficiente.→

(Le foto sono di Antonietta Malito)